Daniele Groff, voce fuori da coro «C’è un po’ di ipocrisia nel nostro dolore»
«Sono nella mia stanza, proprio quella che occupavo da ragazzo quando scrivevo le prime canzoni».
Un viaggio nel tempo.
«Sono tornato a vivere con mia madre, così posso farle compagnia in questo periodo così particolare».
Daniele Groff ha vinto Sanremo Giovani con il brano Daisy (1998) e si è piazzato 5° tra i big con Adesso (1999). Nel 2006 ha vinto i prestigiosi Jpf Music Awards. Nella sua carriera ha collaborato con Lucio Dalla e Renato Zero.
Daniele, dove si trova: a Trento?
«In Bolghera, sì. Un appartamento con il balcone, fortunatamente. A Roma sarebbe stata dura».
Lei ha vissuto tanto tempo a Roma.
«Da quando avevo 20 anni fino ai quaranta».
Mamma mia!, un sacco.
«Sarei stato recluso, laggiù. Niente balcone».
Come va la vita, Daniele?
«Sto bene. Leggo molto, imparo tante cose. Vado con calma, tranquillamente, ma siccome dal poggiolo vedo il mondo immobile mi sento la coscienza a posto».
Compone musica, anche?
«Ho composto molto negli ultimi tempi, ora mi sono preso una pausa ma se viene l’idea ho tutto qui, strumenti, computer. Tutto».
Cosa sta leggendo?
«La danza della realtà, di Alejandro Jodorowsky. Straordinario!, pieno di frasi illuminanti, lo sto sottolineando come un pazzo. Lo consiglio in particolare a chi sia aperto a una visione magica, poetica, onirica della realtà».
Irreale è ciò che stiamo vivendo in questi giorni. Un sogno, sì, ma brutto.
«Una grande frenata».
Speriamo faccia riflettere.
«Speriamo porti un cambiamento alla nostra normalità, che tanto a
posto non era se siamo arrivati a questo punto. Non voglio dire che il virus ne sia una conseguenza: vorrei però che spingesse a vedere le cose da un’altra prospettiva».
Cosa abbiamo sbagliato, secondo lei?
«Dico una cosa poco popolare».
La dica lo stesso.
«Ora noi vediamo tutte queste persone anziane che muoiono, e ovviamente ne soffriamo, ma quando mai ci siamo preoccupati di tutte le altre vite? Non si parla mai dei tantissimi bimbi che soffrono e muoiono, nel mondo, per malattia. Non si parla più dell’Aids che ancor oggi, in Africa, stermina due milioni di persone all’anno».
Due milioni...
«Due milioni».
Una follia.
«E adesso che una malattia tocca noi occidentali, guarda qui. Direi che tendiamo a enfatizzare... E all’inizio ero arrabbiato nel vedere questa sorta di ipocrisia».
Daniele, lei dice una cosa poco popolare.
«L’avevo avvisata».
Giusto.
«E poi il virus ha mostrato quanto siamo stati imprevidenti: abbiamo avuto due mesi di vantaggio sulla Cina e guarda qui!, non riusciamo neppure ad assistere tutti quelli che hanno bisogno di cure. Perché non siamo preparati dal punto di vista sanitario: questo si è capito. Voi direte: facile parlare col senno di poi. Ma io dico che bisognava prevedere come sarebbe andata a finire».
E adesso?
«Sarà interessante vedere come modificheremo le nostre abitudini».
Lo faremo davvero?
«Lo spero. Pensi a dov’eravamo arrivati: a correre come roditori per guadagnare due euro e subito spenderli in nuovi telefonini. A trascorrere i sabati nei centri commerciali. E poi le dico un’altra cosa».
Dica.
«Pensi alla pianura padana, ai dati sul virus - incredibili - che vengono da lì. Dobbiamo ricordare che quella è una delle zone più inquinate del mondo, e non lo dico io: lo dicono gli studi. Non è che magari ci sia una relazione tra le due cose? Non è che magari, laggiù, la gente sia più vulnerabile?».
Bella domanda.
«Mi piace, in sostanza, non demonizzare il virus e pensare invece alle nostre responsabilità».
L’avevamo capito.
«Ora, insieme ad alcuni musicisti trentini e romani abbiamo organizzato un piccolo festival di musica suonata da casa».
Musica fatta in casa.
«Papale papale. Per raccogliere dei fondi da devolvere agli ospedali e per farsi compagnia, anche».
Bellissima idea.
«Si chiama IoRestoaCasaFestival. Tutto è partito grazie alla pianista trentina Isabella Turso. Lei si è data da fare: è molto intraprendente. Io sono un po’ un orso, al confronto».
E come funziona questo festival?
«Praticamente una staffetta, in diretta streaming su Instagram. Siamo partiti mercoledì con la “data zero” ed è andata benissimo. Ogni artista ha mezz’ora. Il pubblico segue da casa e può interagire, chiedere».
Il prossimo appuntamento?
«Replicheremo ogni mercoledì con artisti anche internazionali, e forse pure qualche altro giorno perché vogliono esibirsi in tanti».
Come si può donare qualcosa?
«Sulle pagine degli artisti che partecipano al festival ci sono dei link: si clicca sul link, è facile. Chi può, lo faccia. Le strutture ospedaliere sono in affanno: hanno bisogno dell’aiuto di tutti».