Il pm chiede 646 mila euro al prof col doppio lavoro
L'indagine, condotta dalla guardia di finanza, è stata aperta dopo un'inchiesta giornalistica
Rischia un pesante salasso un docente dell'Università di Trento accusato di aver esercitato la libera professione di avvocato pur avendo optato per un impegno a tempo pieno con l'Ateneo. Non solo, al prof la Procura regionale della Corte dei conti contesta la mancata comunicazione all'Ateneo di una condanna passata in giudicato per peculato, sentenza che avrebbe portato alla sospensione dal servizio. Per quelli che secondo l'accusa erano comportamenti dolosi, il docente è stato citato in giudizio davanti alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti. Il danno erariale contestato dal procuratore regionale Marcovalerio Pozzato è pari a 646 mila euro.
L'indagine, condotta dalla guardia di finanza, è stata aperta in seguito alla pubblicazione, il 15 gennaio del 2018, di un'inchiesta sul quotidiano "la Repubblica" intitolata "Caccia ai docenti col doppio lavoro - le indagini che agitano gli atenei". L'articolo non era sfuggito alla procura regionale di Trento che chiese una relazione al rettore «in merito alle irregolarità emerse in tema di incarichi professionali extraistituzionali svolti dai docenti universitari non preventivamente autorizzati». Il rettore, tra le altre, aveva segnalato la posizione di un professore aggregato della facoltà di Giurisprudenza nei cui confronti era stato avviato un procedimento disciplinare per lo svolgimento di attività libero-professionale non compatibile con il ruolo di docente universitario a tempo pieno.
Il professore aveva insegnato presso l'ateneo trentino come ricercatore sin dal 1994. Le indagini però si sono concentrate sull'ultimo decennio. In particolare risultava che il professore tra il gennaio 2008 e il dicembre 2018, avesse scelto il tempo pieno. Incassava dunque stipendio pieno anche se poi secondo le Fiamme Gialle svolgeva a tratti intensa attività di consulenza giuridica, e aveva anche amministrato alcune società. Consultando l'Anagrafe tributaria e lo "Spesometro" si accertava che il docente aveva percepito compensi, anche elevati, da molteplici soggetti, società e persone fisiche. Nel 2015, per esempio, aveva "arrotondato" lo stipendio di docente universitario incassando 130 mila euro soprattutto per attività di consulenza nel settore del diritto societario e delle ristrutturazioni aziendali. Nel complesso risultava che il docente avesse incassato quasi mezzo milioni di euro. Nel frattempo solo nel 2018 l'Università di Trento veniva a sapere che il suo docente a Milano nel 2015 era stato condannato, con sentenza passata in giudicato, a due anni di reclusione per peculato.
A conclusione delle indagini il pm Pozzato ha rilevato tre diversi profili di responsabilità per danno erariale. Il primo, e più consistente, riguarda le attività di consulenza libero-professionale incompatibili con la docenza a tempo pieno. «Malgrado la chiarezza del regime di incompatibilità dei ricercatori a tempo pieno con lo svolgimento di attività libero professionale - è scritto nell'atto di citazione - il prof. (omissis) ha dolosamente svolto incarichi retribuiti extraistituzionali senza autorizzazione, omettendo il riversamento dei compensi ed intenzionalmente celando all'amministrazione datrice di lavoro lo svolgimento di tali prestazioni». Il secondo profilo di danno, quantificato in 142 mila euro, è relativo alla mancata comunicazione all'Università della condanna penale con interdizione dai pubblici uffici per tre anni. Condanna che avrebbe dovuto portare alla sospensione dall'attività di ricercatore con privazione dello stipendio. Terzo profilo è relativo agli emolumenti indebitamente percepiti come docente a tempo pieno mentre avrebbe dovuto essere pagato come docente a tempo definito. In totale la procura chiede la condanna a risarcire all'Ateneo 646.789 euro, più rivalutazione e interessi. Il prof col doppio lavoro per ora non ha risposto con proprie controdeduzioni difensive.