«Lunghe liste d'attesa un problema grande»
Parla il direttore del reparto di Gastroenterologia del Santa Chiara
Una corsa contro il tempo e contro quelle liste d'attesa che erano lunghe prima dell'emergenza e ora lo sono ancora di più. Ma il dottor Giovanni de Pretis sa di poter contare su una squadra solida, di qualità e soprattutto giovanissima, con quasi la totalità dei medici under 45 e addirittura molti under 35. Il direttore, che guida il reparto di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, pur sapendo di avere un gruppo di qualità e strumentazioni di alto livello, sa tuttavia di non poter contare su una qualcosa di fondamentale: gli spazi. Che, già ridotti («il nuovo ospedale è fondamentale») per rispettare le norme anti Covid-19 diminuiscono ulteriormente. «È un problema trasversale: diventa difficile garantire la stessa produttività di prima dovendo rispettare le regole nelle sale. Ma fino al vaccino credo dovremo convivere con tutto questo».
Dottore, anche l'ospedale è ripartito. Anche se, in realtà, nulla si è mai fermato del tutto.
Esatto: anche noi non ci siamo mai fermati, pur avendo dovuto riorganizzare l'attività, con la chiusura di tutte le endoscopie negli ospedali periferici. Noi e Rovereto siamo rimasti a disposizione per tutto ciò che non era differibile: a conti fatti l'attività complessiva al Santa Chiara si è ridotta del 50%, al Santa Maria del Carmine, Covid Hospital, un po' di più.
Quindi adesso bisogna recuperare: le liste d'attesa erano già piuttosto lunghe.
E si sono allungate. Ma ridurle non è così immediato: sulla parte endoscopica il problema è grosso e accelerare non è facile. Visti i problemi di spazi e le nuove norme l'attività in realtà si riduce. Per incrementare servirebbero risorse. Speriamo nella comprensione sia dei medici prescrittori sia dei cittadini. In questa fase dobbiamo dare risposte alle richieste prioritarie. E con gli screening abbiamo ripreso a ritmi buoni.
Ecco: una visita di controllo fatta per tempo salva la vita.
Assolutamente sì. Gli screening sono efficaci e le persone dovrebbero farlo: individuare prima dei problemi è di grande aiuto. Quelli per il cancro al colon retto li abbiamo fatti anche in emergenza, ma spesso la gente non si presentava. In Trentino l'adesione resta ai livelli più alti d'Italia, sopra il 50%: mandiamo l'invito a uomini e donne tra i 50 e i 70 anni e la diagnosi precoce è fondamentale per una cura efficace.
Lo sviluppo di patologie o la sottovalutazione di sintomi rappresentano un possibile danno collaterale da Covid-19: voi avete riscontri?
I dati andranno analizzati a fine anno. Ma è evidente che per paura molte persone non si sono recate in ospedale per un paio di mesi. Qualche problematica si è evoluta spontaneamente in maniera positiva, ma per altre chi è poi arrivato in ospedale stava peggio. Sappiamo già che c'è stato un calo di urgenze chirurgiche a marzo e aprile, ma per un'analisi precisa bisogna attendere. Si tratta comunque di un tema e di un problema che c'è, da non sottovalutare.
Cosa vi ha insegnato l'esperienza Covid?
Abbiamo capito che è possibile fare di più senza necessariamente vedere il paziente. Quelli noti, con patologie croniche intestinali, ad esempio, li abbiamo gestiti al telefono e con i mezzi tecnologici, evitando magari a una persona di Canazei di venire fino a Trento per un controllo. Affinando ulteriormente le tecnologie possiamo dare un'accelerata in tal senso. Poi c'è l'aspetto delle persone.
La reazione della squadra, di medici e infermieri, intende?
Certo. Noi siamo quasi un centinaio e tutti hanno reagito bene. Faccio solo un esempio: quando il direttore Paolo Bordon ha chiesto la disponibilità volontaria ad andare in reparti Covid a lavorare, 18 su 20 hanno detto sì. Poi non sono andati tutti, altrimenti qui in reparto non ce l'avremmo fatta, ma alcuni sì: ad esempio uno in Terapia intensiva, uno a Borgo, uno a Cles. E ovviamente chi è rimasto si è preso in carico le reperibilità e turni più lunghi senza batter ciglio.
Preoccupati per una seconda ondata?
Non possiamo fare pronostici, vedremo in autunno cosa accadrà. Ad oggi il problema sanitario legato al Covid non c'è. Ma c'è quello economico e quello ospedaliero, nel senso che dobbiamo garantire le stesse prestazioni di prima ma con le nuove regole. Ma l'emergenza più emergenza del Covid è il Santa Chiara: abbiamo veramente bisogno di un nuovo ospedale. È fondamentale.
Oltre alla questione ospedale c'è la carenza di medici. E alcuni, come il primario di Gastroenterologia, andranno in pensione...
Pensi che inizialmente avrei avuto una "finestra" per andarci il 29 febbraio scorso, in piena emergenza. Meglio così, sono rimasto a dare una mano. Io ho i 40 anni di servizio attivo, ma ora si può andare anche oltre: vedremo a fine anno cosa accadrà, io sono disponibile a fermarmi ancora un po'. Ma il problema non è trovare medici.
Come no? Tutti si lamentano...
Il punto non è trovare dei medici ma trovare dei medici bravi. Bisogna cercarli, motivarli, offrire loro tecnologie all'avanguardia - e noi per la parte endoscopica abbiamo quanto di meglio si possa desiderare - e poi dare loro la possibilità di aggiornarsi e formarsi continuamente. Nel nostro reparto la parte interventistica sta cambiando molto. Ad esempio le lesioni al retto per cancro una volta richiedevano interventi chirurgici molto importanti. Ora in endoscopia durano un paio d'ore.