Tumore al seno, il covid frena la prevenzione
La dottoressa Carmine Fantò, responsabile dell'unità semplice di screening mammografico dell'Azienda sanitaria, lancia un appello affinché le donne continuino a prendersi cura di sé stesse
«Ottobre è il mese della prevenzione, un appuntamento per ricordare alle donne i servizi che offriamo per difenderle dal rischio dei tumori della mammella.
Ma questo è un ottobre particolare, troppe cose sono successe negli ultimi mesi perché ci si possa aspettare che tutto sia come al solito. La pandemia ha cambiato tanto, ha imposto a tutti di cambiare i propri programmi, le proprie priorità, ha creato preoccupazioni diffuse, ansie, paure». La dottoressa Carmine Fantò, responsabile dell'unità semplice di screening mammografico dell'Azienda sanitaria, lancia un appello affinché, nonostante l'emergenza Covid, le donne continuino a prendersi cura di sé stesse, a ricordarsi che una mammografia può salvare la vita.
Dottoressa Fantò, prevenzione, diagnosi di tumori al seno in emergenza Covid. Che spazi ci sono?
Prima di tutto fissiamo un'idea fondamentale: la pandemia non è una buona ragione per smettere di fare prevenzione. Questo resta lo strumento migliore per tutelare le donne dal tumore al seno, per abbattere i rischi di una patologia che se lasciata andare non può guarire. Ovviamente però la prevenzione va fatta in completa sicurezza, sicurezza per le pazienti innanzi tutto, ma anche sicurezza per gli operatori. Per questo sono stati apportati dei cambiamenti rispetto alle linee guida organizzative del nostro reparto. Per questo è necessario che pazienti e operatori collaborino in modo nuovo per massimizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione.
Durante il lockdown lo screening era stato interrotto. Quali sono state le conseguenze?
Vero, nel corso del lockdown lo screening è stato interrotto. Non era possibile far correre rischi di contagio, la nostra è comunque una struttura sanitaria, rivolta a persone che in larga parte sono assolutamente sane. Questo non significa però che la senologia abbia chiuso, anzi. Ci siamo concentrati sulle pazienti sintomatiche, sui follow up, su chiunque avesse elevato rischio di patologia ed abbiamo continuato a fare diagnosi, a prendere in carico le pazienti, a portarle il più rapidamente possibile ad un percorso di terapia. E purtroppo pazienti che hanno ricevuto diagnosi ce ne sono state comunque, sono state avviate a percorsi terapeutici dalle 10 alle 15 pazienti alla settimana, e queste sono quelle in cui si è riscontrato un tumore, molte di più sono state quelle comunque visitate.
Ed ora?
Finito il lockdown, abbiamo continuato a fornire la medesima assistenza alle pazienti sintomatiche e ad alto rischio, ma abbiamo anche provato a riaprire lo screening. Sono in trentino da 13 anni, sono al 6° round di letture di screening, 30.000 inviti l'anno, 28.000 adesioni, 56.000 doppie letture. Questi numeri si riescono a gestire solo con una complessa organizzazione che deve funzionare come un treno in corsa, un treno che con il lockdown si è dovuto fermare improvvisamente. Ripartire non è questione di un attimo. Quando in Italia tutti gli screening si sono fermati per decisione comune, noi avevamo inviato 7.000 inviti. Come fermare tutte queste lettere? La nostra squadra forte di 14 tecnici di radiologia, si è fatta carico di contattare ciascuna delle destinatarie singolarmente. A metà giugno abbiamo potuto far ripartire lo screening, ma con limiti precisi. Gli spazi che abbiamo sono limitati ed il distanziamento deve essere rispettato ad ogni costo. Non potevamo consentire l'accesso di 150 donne contemporaneamente al giorno come facevamo prima. Abbiamo dovuto ridurre il numero di esami a 40 al giorno, il massimo consentito per rispettare il distanziamento ed evitare di creare focolai, ma siamo comunque ripartiti. Ce la stiamo mettendo tutta, perché le condizioni per ripartire in sicurezza c'erano e perché crediamo che la prevenzione sia un pezzo importante del diritto alla salute, un diritto che va assicurato comunque anche in condizioni difficili.
I tempi inevitabilmente ora sono più lunghi. Avete cambiato qualcosa nelle modalità di invito e negli appuntamenti?
Dopo il primo mese dalla riapertura abbiamo compreso che la lettera di invito, tanto utile in tempi normali, non andava più bene perché non garantiva sedute omogenee e soprattutto non ci consentiva di massimizzare i posti che avevamo a disposizione. Abbiamo provato a chiedere alle utenti di contattarci in caso non intendessero o potessero presentarsi per darci modo di riempire i vuoti delle liste, ma non ha funzionato. Allora abbiamo cominciato a contattare direttamente tramite telefono le utenti sia per capire chi non sarebbe venuto sia per programmare rapidamente i vuoti ed assicurare almeno che quei 40 posti al giorno fossero sempre 40 esami. Un lavoro immenso, ma necessario. I ritardi relativi alla clinica, ai follow up e alle pazienti asintomatiche sono stati rapidamente riassorbiti. Lo screening procede, se pure a scartamento ridotto, ma stiamo valutando una serie di operazioni di rimodulazione degli spazi a disposizione, grazie alla sensibilità della Direzione della Apss, che forse ci consentirà di aumentare gli accessi.
E chi sta aspettando di essere chiamato per la mammografia cosa dice?
Alle donne che ancora oggi sono in attesa di eseguire una mammografia di screening chiedo di non abbassare la guardia. In caso avvertano sintomi, noduli o altro si rivolgano al proprio medico di famiglia per una visita e nel caso prenotino un esame da noi, come detto i percorsi clinici funzionano regolarmente e non si sono mai fermati. Se invece sono in attesa, non hanno sintomi ma vedono che sono quasi scaduti i due anni dall'ultimo esame, non si facciano prendere dall'ansia. I due anni sono un orizzonte statistico, servono a tutelare il rischio della popolazione, ma in assenza di sintomi qualche mese in più non comporta un'impennata del rischio individuale. In questo periodo stiamo assistendo ad un paradosso: da un lato alcune utenti, spaventate dalla pandemia, ci chiedono di spostare i loro esami a data da definire e dall'altro altre pazienti dominate dall'ansia somatizzano sintomi inesistenti. In Trentino il sistema di assistenza funziona, a partire dai medici di famiglia, passando per noi della senologia fino ad arrivare alla Breast unit, nessuno viene lasciato indietro.