Scuole superiori in Trentino riaperte dal 7, con DAD al 50%, ma a Roma è scontro politico, e il Governo sceglie l'11
Diventa un caso politico - e un vero rompicapo - la riapertura delle scuole superiori. Ieri infatti la giunta provinciale di Trento ha annunciato la riapertura (con didattica a distanza al 50%) di tutti gli istituti superiori. Ma nella notte a Roma il governo ha deciso dopo un aspro scontro fra i partiti di maggioranza, la riapertura per l’11 gennaio. Ma con molte regioni (come il Veneto di Zaia) che invece intendono farlo solo al 31 gennaio.
Ieri Fugatti è stato chiaro: «Abbiamo sempre avuto la volontà di aprire le scuole, per noi è essenziale: perché la didattica a distanza è un’altra cosa rispetto alla didattica in aula».
Fugatti ha detto di sentirsi tranquillo, in quanto «le nostre autorità sanitarie ci dicono che la riapertura al 50% non comporterebbe un grandissimo rischio sanitario di aumento del contagio». Ed anzi, valutate le situazioni giorno per giorno, il presidente si è detto speranzoso di poter arrivare ad una presenza in aula al 75%. Anche perché - ha detto - si è visto nei mesi scorsi che l’apertura delle scuole non ha inciso in maniera particolare sui dati sanitari delle Regioni che l’hanno fatto.
A livello nazionale però la questione è esplosa con un feroce scontro politico, in un momento in cui la maggioranza traballa. E’ uno scontro quasi all’arma bianca, segno della profonda tensione di questi giorni, quello che ha luogo nel Consiglio dei ministri notturno chiamato a dare il via libera al nuovo decreto anti-Covid che entrerà in vigore il 7 gennaio.
E’ la scuola, ancora una volta, il terreno dello scontro.
Dopo una giornata di tensione tra governo e Regioni sulla data del 7 gennaio il capodelegazione del Pd, Dario Franceschini, propone di rinviare l’apertura almeno a partire dal 15 gennaio. Le ministre di Italia Viva non ci stanno così come la titolare dell’Istruzione Lucia Azzolina. E nel mirino del M5S, ad un certo punto, finisce anche il ministro dei Trasporti Paola De Micheli.
La riunione dura quasi tre ore: ha inizio poco prima delle 22, sebbene diversi ministri giungano a Palazzo Chigi alle 21. Il decreto sulle restrizioni in vigore dal 7 al 15 gennaio - con il weekend del 9-10 “arancione” e una fascia “gialla rafforzata” negli altri giorni - era ormai pronto.
Nel nuovo decreto la novià più importante è la revisione dei parametri per "classificare" le Regioni a rischio. Insomma, i criteri per definire se una zona è gialla, arancione lo rossa.
Su richiesta delle Regioni infatti il ministro Speranza e il ministro Boccia hanno proposto una classificazione più severa. Per anbdare in "zona rossa" finora bisognava avere un indice RT maggiore o superiore a 1,50 mentre d'ora in poi sarà 1,25. E così per l'arancione: bastava avere un RT uguale o superiore a 1.25 mentre d'ora in avanti sarà 1,0.
Ma il Pd, al tavolo del Cdm, esprime una linea già emersa nel pomeriggio dal segretario Nicola Zingaretti: sulla scuola è necessario un rinvio. Franceschini pone il tema come una “questione politica”. E la data più adeguata per riaprire le superiori in presenza (al 50%), secondo i Dem, sarebbe quella del 18.
Alla fine la mediazione sulla scuola - un vero tira e molla - cade sull’11 gennaio. Il Cdm dà il via libera al decreto che dal 7 gennaio entrerà in vigore introducendo, tra l’altro, la definizione di Rt più rigido per la classificazione di rischio regionali.
E anche sui vaccini il decreto introduce una norma secondo cui, qualora un paziente non in condizione di esprimere il consenso libero alla somministrazione sia privo di un tutore legale, sarà il giudice tutelare a rinviare al direttore sanitario o responsabile medico la decisione della somministrazione. Ma lo scontro sulla scuola rischia di essere un’ulteriore coda velenosa dell’aria di pre-crisi che si respira nel governo.