Licenziata al rientro dall'estero perché in quarantena: il giudice conferma
La donna era tornata in Albania
In tempi di Covid 19 le vacanze all'estero sono sconsigliate per ragioni sanitarie, ma anche per il rischio di licenziamento.
Qualora il dipendente sia sottoposto a quarantena volontaria, non potendo quindi rientrare subito al lavoro, può essere licenziato se era consapevole del forzato stop casalingo al rientro in Italia.
Lo ha stabilito il giudice Giorgio Flaim nell'ordinanza con cui ha respinto la richiesta di annullare il licenziamento che la ricorrente, difesa dall'avvocato Raffaele Merlo, ritiene essere ritorsivo e non sorretto da giusta causa. Provvedimento che invece per il legale dell'azienda datrice, l'avvocato Filippo Valcanover, è pienamente legittimo. La questione è destinata a far discutere, come dimostra la pubblicazione dell'ordinanza su molti siti web di rilievo nazionale.
L'azienda, che opera nel settore delle pulizie, ha licenziato la dipendente il 9 settembre scorso a seguito di una lettera di contestazioni in cui si lamentava, tra l'altro, «condotte di gravissimo rilievo disciplinare in relazione al rapporto di lavoro».
Di fatto la dipendente, partita per un periodo di vacanza in Albania, era rimasta assente (giustificata) per diverse settimane.
«Corre l'obbligo di sottolineare - ha contestato l'azienda - che ella non presenta la sua attività dal 9 luglio 2020; risulta infatti che ella prolungava il periodo di ferie concesso (dal 3 al 16 agosto) assentandosi per congedo Covid dal 9 al 28 luglio 2020 e permesso ai sensi della legge 104 nei giorni 29, 30 e 31 luglio facendo seguire ulteriori tre giorni di permesso ai sensi della legge 104 nei giorni 17, 18 e 19 agosto; cinque giorni di malattia bambino nei giorni 20, 21, 24, 25 e 26 agosto; un giorno di malattia il giorno 27 agosto e infine assenza per quarantena fino al 9 settembre 2020».
Si tratta di assenze prolungate ma legittime. Il problema è relativo alla quarantena obbligatoria al rientro dall'Albania (misura prevista e confermata da due dcpm approvati l'estate scorsa) che ha tenuto la dipendente ancora lontana dal lavoro.
«Appare evidente - scrive il giudice Flaim nella sua ordinanza - che la ricorrente nel momento in cui si recò in Albania per trascorrere le proprie ferie dal 3 al 16 agosto 2020, era o comunque doveva essere pienamente consapevole che al suo rientro in Italia non avrebbe potuto ritornare al lavoro immediatamente dovendo osservare un periodo di 14 giorni di isolamento fiduciario. Ella quindi si è posta, per propria responsabilità, in una situazione di impossibilità di riprendere il lavoro alla data prescritta». Secondo il giudice dunque l'assenza «non può considerarsi giustificata».
A giudizio del Tribunale la lavoratrice avrebbe ben potuto evitare il viaggio in Albania in tempi di pandemia. «Esigere che la ricorrente tenesse quest'ultimo comportamento non costituisce un'illegittima limitazione dell'esercizio del diritto di fruire delle ferie. Basti pensare - sottolinea il giudice Flaim - che il soddisfacimento delle esigenze di sanità pubblica, sottese alla necessità di contrastare la perdurante pandemia, ha comportato per ampi strati della popolazione residente in Italia il sacrificio di numerosi diritti della personalità, anche tutelati a livello costituzionale».