Marco Valentini, dal Trentino in Africa per la protezione dei diritti umani
Lavora per organizzazioni non governative e per agenzie delle Nazioni Unite. L’anno scorso si è occupato della protezione dei diritti dei migranti nel Corno d’Africa. Soprattutto di quelli che in differenti fasi del loro viaggio finiscono nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Il suo racconto
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TRENTO. È un trentino e da anni ha dedicato la sua vita a chi soffre. Marco Valentini, 46 anni, nato a Trento e cresciuto a Pergine, vive nella capitale dello Zambia, Lusaka e come libero professionista mi occupo della protezione dei diritti umani di persone colpite da emergenze umanitarie. Non ha però mai dimenticato le sue origini e, attraverso Mondo Trentino (maggio 2021), si è raccontato.
Dove vivi attualmente e cosa fai?
Vivo nella capitale dello Zambia, Lusaka. Come libero professionista mi occupo della protezione dei diritti umani di persone colpite da emergenze umanitarie (naturali o provocate dall’uomo).
Puoi spiegarci meglio sul tuo lavoro attuale, collabori con delle organizzazioni?
Attualmente sono un consulente freelance che si occupa del coordinamento degli interventi umanitari e della difesa dei diritti umani in particolare dei migranti. Normalmente lavoro per organizzazioni non governative (ONGs) e per agenzie delle Nazioni Unite che in tempi brevissimi hanno bisogno di personale con le mie conoscenze per rispondere in maniera veloce ed efficiente ad emergenze che possono scoppiare in diverse parti del mondo.
Qual è stato il tuo percorso di studi?
Ho studiato al liceo Rosmini per poi ottenere la laurea in Giurisprudenza a Trento e un Master in Studi Interculturali a Padova. Data la natura particolare del mio lavoro ho frequentato numerosi corsi sempre nell’ambito della protezione dei diritti umani.
Quale percorso formativo hai seguito, che lavori hai fatto negli anni?
Ho cominciato lavorando per piccole e piccolissime organizzazioni non governative trentine italiane e estere ma alcune anche molto grandi come il Danish Refugee Council oppure il Norwegian refugee Council. Ho lavorato anche per diverse agenzie delle Nazioni Unite (UMISS, FAO, WFP, UNICEF, OCHA)
Ti va di raccontarci un po’ della tua famiglia?
Sono sposato con una ragazza Sudcoreana che ho incontrato in una cittadina del Sud Sudan chiamata Aweil. Anche lei lavora nello stesso settore per il Programma Alimentare Mondiale. Abbiamo due bellissimi bambini, Alessio 5 anni e Anna Sofia 3 anni che frequentano il nido e l’asilo in Zambia.
L’Africa è un continente spesso colpito da epidemie e virus, come ha reagito questa volta la popolazione africana a questa pandemia?
L’Africa è un continente immenso con grandi differenze per cui è difficile generalizzare. Molti paesi sono spesso colpiti da varie epidemie e questa si è solo aggiunta alle altre. Forse proprio per questo, pur mancando le risorse, in molti paesi africani sono riusciti a contenere il virus. In particolare in Zambia l'approccio al Corona Virus è stato molto pragmatico. All’inizio il governo aveva chiuso i confini. Ora invece si cerca di ridurre il danno all'economia. Per la popolazione locale, malaria o colera provocano molte più vittime del COVID-19.
Come si vive l’emergenza Coronavirus in Zambia, e quali sono le prospettive per il futuro?
In Zambia abbiamo appena finito la seconda ondata dell’epidemia e ci aspettiamo la terza con l’arrivo dell’inverno. La settimana scorsa sono arrivate le prime dosi di vaccino (Astrazeneca). Per il momento però solo gli operatori sanitari e il personale critico verrà vaccinato.
Il Governo non ha ancora condiviso un piano per la vaccinazione della popolazione. Un recente sondaggio ha mostrato che la popolazione non sente particolarmente la necessità di vaccinarsi per il Coronavirus. Sono molto dubbiosi sull'efficacia del vaccino.
Cosa ti ha spinto a trasferirti all’estero ed in particolare in Africa?
Al termine dei miei studi in giurisprudenza la prospettiva di iniziare il praticantato come avvocato non mi entusiasmava. L'opportunità di viaggio in India per seguire l’implementazione di un progetto di educazione co-finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento mi ha fatto scoprire un mondo che non conoscevo. L’Africa e in particolare l’Uganda è arrivata poco dopo. Da lì in poi non non mi sono più fermato.
Come ti senti integrato nella società in cui vivi e quali sono le persone che più frequenti?
Data la natura del nostro lavoro non è facilissimo integrarsi nelle società dei paesi in cui viviamo. Usi, costumi, tradizioni e religione possono diventare una barriera. Non esiste un unico approccio. Paradossalmente ci siamo integrati bene nella società del Sudan mentre qui in Zambia le persone sono molto più riservate ed è più difficile fare amicizia. Alla fine spesso ci si ritrova ad uscire e a vivere con altri “expat”.
Solitamente viaggi molto per lavoro nel continente africano e non solo. Ci vuoi raccontare qualche tua missione, un aneddoto che ci possa dare un'idea della situazione che c’è ora in Africa?
Molti aneddoti sono in qualche maniera collegati al lavoro dei missionari. In Sud Sudan durante una missione ai confini con la Repubblica Centro Africana siamo rimasti bloccati dopo aver bucato i pneumatici. Chi ci ha soccorso è stato un missionario italiano di Lodi che ci ha offerto una buonissima cena italiana e poi ci ha prestato i pneumatici della sua macchina per poter rientrare alla base.
In Yemen nonostante la guerra fosse alle porte ho incontrato bravissimi artigiani veneti che si dedicavano con sacrificio e abnegazione al restauro e alla conservazione della più antica moschea di Sana'a la capitale del paese.
In questi giorni le notizie che vengono dal Mozambico non sono delle migliori. Il conflitto scoppiato nel 2017 ha spinto 750.000 persone a lasciare le loro case per cercare rifugio nelle province vicine.
Questo angolo di Mozambico però ospita ancora una piccola comunità italiana fatta di missionari, volontari e persone che negli anni hanno creduto allo sviluppo di questa zona e ancora oggi operano nel settore del turismo e della ristorazione. Le tagliatelle fatte in casa erano buonissime.
Attualmente, vista la situazione pandemica, non hai la possibilità di viaggiare molto per lavoro e quindi cosa riesci a fare da remoto nel tuo ambito?
Lo scorso anno quasi tutti i paesi africani hanno chiuso i confini e bloccato i voli. Questo ovviamente ha danneggiato molto il mio lavoro. Purtroppo nel mio settore non è facile operare da remoto. Speriamo che con il progresso della vaccinazione le cose piano piano si normalizzino.
Occupandoti di emergenza umanitaria cosa ti trovi a fare nello specifico? Puoi farci qualche esempio?
Lo scorso anno in Mozambico mi sono occupato di coordinare gli interventi umanitari a supporto della popolazione civile colpita dal conflitto. Il mio compito è quello di facilitare il lavoro delle varie organizzazioni cercando di evitare ritardi o duplicazioni negli interventi.
Sempre l’anno scorso mi sono occupato della protezione dei diritti dei migranti nel Corno d’Africa. Soprattutto di quelli che in differenti fasi del loro viaggio finiscono nelle mani dei trafficanti di esseri umani.
Ci hai parlato di trafficanti di esseri umani: puoi farci qualche esempio?
Nei vari paesi africani il fenomeno della migrazione viene visto come una fase di passaggio naturale nello sviluppo economico e sociale.
A livello dell’Unione Africana i diversi paesi si sono impegnati a facilitare i processi migratori minimizzando i passaggi burocratici e riducendo i costi. Purtroppo in alcuni casi le persone non sono a conoscenza dei loro diritti, dei documenti necessari e delle differenti regole che si applicano.
Così facilmente finiscono preda di trafficanti senza scrupoli che promettono loro un contratto di lavoro e il trasporto. Decine di migliaia di etiopi ogni anno attraversano illegalmente il Golfo di Aden per cercare fortuna nei paesi del Golfo Persico. Al loro arrivo in Yemen vengono fatti prigionieri e torturati finché le loro famiglie in Ethiopia pagano un sostanzioso riscatto.
Ogni anno centinaia di migranti dallo Sri Lanka o dalle Filippine arrivano in Sudan. Nella capitale Khartoum lavorano nel settore delle costruzioni o dei servizi finche possono pagare per attraversare il deserto. Purtroppo molti di loro non arriveranno mai sulle coste della Libia. Molti finiscono per essere ridotti in schiavitù dalle tribù del deserto. Il deserto stesso è un cimitero per i pullman o i camion che non ce l’hanno fatta e la tomba senza nome per i loro passeggeri.
Hai lavorato e lavori anche per la protezione dei diritti dei migranti. Cosa ti senti di dire riguardo ai flussi migratori degli ultimi anni in generale? Hai vissuto e stai vivendo da vicino questa situazione?
Nel mondo le persone sono sempre state in movimento. La maggior parte dei migranti rimane nel continente o cerca di raggiungere il Medio Oriente. Noi non siamo la loro destinazione preferita. Come nel passato i migranti hanno sempre cercato nuove opportunità per migliorare la loro vita o per supportare la loro famiglia.
L’Africa è un continente che sta cambiando velocemente. Le persone e in particolare i più giovani non sono più disposte a sedersi e ad aspettare l’aiuto. Oggi i giovani sono informati e hanno accesso ad internet. Invece di vedere l’Africa come un problema dovremmo riuscire a coglierne le opportunità offerte da un rapido sviluppo economico.
Quali sono i tuoi progetti futuri appena si potrà anche viaggiare un po’ più liberamente?
A breve termine cercheremo di passare qualche settimana di vacanza in Trentino. Manchiamo dalla fine del 2019. A medio termine invece la nostra avventura in Zambia sta per finire e quindi abbiamo iniziato a valutare in quale altro paese ci potremmo spostare con la famiglia.
Vuoi lasciare un messaggio ai trentini?
Il Trentino è un territorio bellissimo ma dobbiamo imparare ad aprirci e conoscere il mondo altrimenti sarà il mondo a venire in Trentino e noi non avremo gli strumenti per capirlo.