Merler: per il Trentino al momento nessun rischio di zona gialla
Il noto matematico ed epidemiologo della Fbk spiega i numeri confortanti che si registrano in questo periodo in provincia ma invita ad accelerare sulle vaccinazioni
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TRENTO. Sicilia e Sardegna a rischio giallo, dicono. E il Trentino? Rischiamo anche noi?
«Direi di no, almeno a breve».
Bene.
«Tutto sommato il Trentino ha numeri estremamente positivi rispetto al resto d'Italia».
Tra i migliori, in effetti.
«Esatto».
Attenzione, però, avverte Stefano Merler, perché il virus ha un potenziale di trasmissione «ancora elevatissimo».
L'epidemiologo matematico trentino è il direttore del Centro per le Emergenze sanitarie della Fondazione Bruno Kessler. Il Centro supporta l'Istituto superiore di sanità, il Ministero della salute, il Comitato tecnico-scientifico, le Regioni e le Province autonome nell'analisi e la gestione della pandemia.
Le cifre (tante) fornite da Merler fanno capire che l'epidemia decresce, i vaccini sono un'arma micidiale contro il virus e i comportamenti di oggi determinano il nostro futuro prossimo. Ciò che succederà più in là non si può dire, ma siccome negli ultimi 21 anni il nostro pianeta ha collezionato 5 virus dobbiamo star pronti e affilare le armi (cioè non tagliare i fondi alla ricerca).
Diciamoli, Merler, questi numeri.
«Nelle ultime due settimane in Trentino le persone contagiate sono state 423, per un'incidenza di circa 40 casi settimanali ogni 100mila persone. Un'incidenza - si badi bene - in calo del 16% rispetto al rilevamento precedente. Questi numeri sono compatibili con la stima dell'indice Rt a 0,9...».
...sotto la fatidica soglia di 1.
«...che vuol dire un'epidemia in decrescita. E il dato di 0,9 è uno dei più bassi d'Italia».
Anche le cifre dei ricoveri in ospedale sono soddisfacenti.
«L'occupazione dei posti letto ordinari è al 3%. Ripeto: in confronto al resto d'Italia siamo in presenza di numeri molto buoni».
Tutti si chiedono cosa succederà d'ora in poi. E noi lo chiediamo a lei.
«Non lo so».
Ahi.
«Noi di Fbk non facciamo previsioni; non mi stancherò di ripeterlo. A luglio abbiamo ipotizzato degli scenari che tenevano conto della variante Delta: anche quello più pessimistico diceva che fino alla fine di agosto il Trentino non avrebbe superato il 10% di occupazione dei posti letto in area medica e neppure in terapia intensiva».
I numeri reali vi danno ragione.
«Altro fatto positivo: la vaccinazione. I giovani si stanno vaccinando. In Trentino, secondo i dati ministeriali, ha ricevuto almeno una dose il 45% delle persone tra i 12 e i 19 anni, il 72% delle persone tra i 20 e i 29 anni e il 64% di quelle tra i 30 e 39 anni. Sono numeri estremamente importanti. Sono individui che a questo punto hanno un bassissimo rischio personale e allo stesso tempo contribuiscono al benessere di tutta la società».
Però due giorni fa è scoppiato un focolaio di variante Delta all'ospedale di Tione; e ti cadono le braccia. Quattro pazienti positivi, due dei quali erano vaccinati, e 3 operatori positivi, tutti vaccinati!
«Non esistono garanzie di protezione assoluta».
Lo avevamo capito.
«Non sono mai esistite, in medicina. Il rischio zero non esiste. Ma torniamo ai dati sul Covid».
Torniamoci.
«La protezione contro qualunque tipo di infezione, da parte di questi vaccini, è dell'82%. Minimo».
Tradotto?
«Vuol dire che se tu hai fatto il vaccino hai una probabilità di contrarre il Covid dell'82% più bassa rispetto a chi non l'ha fatto; almeno dell'82%, ma quasi certamente di più. E questa protezione sale al 95% nel prevenire l'ospedalizzazione e al 97% nel prevenire la terapia intensiva e la morte».
Ma la possibilità di morte non è del tutto esclusa.
«Certo, ma i numeri - altissimi - dimostrano comunque che i vaccini funzionano».
Se avessero avuto più tempo per crearli, e non pochi mesi, queste percentuali sarebbero state ancora migliori?
«Non credo. I procedimenti per svilupparli erano già noti».
Con il rientro dalle ferie e l'inizio delle scuole - e le corriere e gli autobus pieni all'80% della capienza - dobbiamo aspettarci un aumento dei contagi, giusto?
«Non lo sappiamo. Ciò che sappiamo, per certo, è che molto dipende dai comportamenti delle persone in questi giorni. Dobbiamo tenere a mente che questo virus ha un potenziale di trasmissione ancora elevatissimo: lo dimostra ciò che si è visto a fine giugno e inizio luglio. È dimostrato però che se ci comportiamo adeguatamente e rispettiamo le norme, riusciamo a conviverci bene. Se non lo facciamo c'è sempre la possibilità di osservare una crescita anche molto veloce dei casi».
Dobbiamo abituarci a "convivere bene" con il virus?
«No. C'è anche il vaccino: più si alza la quota di copertura vaccinale, più spazio recuperiamo in termini di socialità».
Allora quella in cui viviamo non è una situazione permanente.
«No, infatti. Non è detto».
Qual è la quota di copertura vaccinale da raggiungere per poter dire di avere definitivamente sconfitto il Covid?
«Difficile fare un ragionamento perché questo virus muta molto velocemente e possono spuntare delle varianti che rendono meno efficaci i vaccini. Ma se avessimo coperture vaccinali complessive intorno all'80% sarebbe un buon viatico».
Adesso a quanto siamo?
«In Italia gli over 12 che hanno completato le due dosi sono il 66% del totale».
Manca un po'. Lei, come uomo di scienza, cosa si sente di dire alla gente? A chi manifesta dubbi nei confronti del vaccino.
«Non sono un tipo da messaggi pubblicitari».
Non le chiediamo un messaggio pubblicitario, ma uno da scienziato.
«È un anno e mezzo che viviamo tra mille restrizioni. Oggi abbiamo un'arma importante: il vaccino. Ho il massimo rispetto per tutte le posizioni, non giudico chi manifesta dei timori, però il vaccino è un'arma importante che porta benefici al singolo e all'intera società. Un'arma per uscirne il più velocemente possibile. Se non raggiungiamo il livello di copertura di cui parlavamo prima, avremo sempre a che fare con le restrizioni».
Tra la gente prevale un certo fatalismo: state certi, dicono, che dopo il Covid arriveranno altri virus.
«Nei 21 anni di questo millennio abbiamo avuto la Sars, la pandemia influenzale del 2009, la Mers, la Zika e ora il Covid. Cinque virus in 21 anni. Insomma: ne emergono molti, in natura. Non si può dare per scontato che arrivino ma neppure negare la possibilità che succeda».
Quindi?
«Non bisogna tagliare gli investimenti a chi studia la materia. Occorre una sorveglianza virologica, epidemiologica su tutto il pianeta in modo da approntare gli strumenti adatti ad alzare il livello di protezione».