Altri cervi investiti in Trentino, autunno segnato dagli incidenti. Ma ancora nessun piano per attraversamenti protetti sulle strade a rischio
L'ultimo episodio ha visto di nuovo la statale del Caffaro teatro di un episodio notturno, molti i casi drammatici segnalati anche sulla Valsugana. Si rinfocola così la polemica sull'atteggiamento della Provincia autonoma, che ha detto di nuovo no alle proposte di attuare interventi mirati per mettere in sicurezza le strade anche realizzando speciali punti di passaggio che garantiscano agli animali la necessità di spostamento
VALSUGANA Nuovo investimento di un cervo a Tezze di Grigno
L'INCIDENTE Un'orsa investita e uccisa da un'automobile, nessuna persona ferita
TRENTO. Continuano gli investimenti di cervi sulle strade del Trentino: gli incidenti in questi mesi autunnali sono quasi quotidiani.
L'ultimo caso segnalato arriva ancora dalla statale del Caffaro: lo scontro è avvenuto la notte del 25 novembre scorso, in un tratto di strada fra Cimego e Condino, illeso il guidatore, morto il cervo.
Pochi giorni prima nella zona, un altro incidente, provocato da due cerve che si trovavano sulla carreggiata.
Molti i casi anche in Valsugana, il più recente è avvenuto di sera, all’altezza di Barco di Levico, sulla ex statale, il 22 novembre scorso.
Da più parti nei mesi scorsi è stata sollevata, chiamando in causa la Provincia autonoma, la questione della sicurezza e della necessità di attuare dispositivi di prevenzione, già ben collaudati in altri territori, anche italiani.
Ma al momento l'ente pubblico non pare intenzionato a muoversi e considera sufficienti gli strumenti attualmente in uso, basati prevalentemente sulla segnaletica stradale.
Secondo i dati del 2018, ogni giorno in Trentino si registrano in media oltre due investimenti di animali selvatici, per lo più ungulati, durante i tentativi di attraversamento di sedi stradali, autostradali e linee ferroviarie.
A sollecitare un'azione è stato, il mese scorso anche il consigliere provinciale Filippo Degasperi (Onda civica), ma l'assemblea ha detto no alla sua mozione che indicava l'avvio di uno studio sui corridoi faunistici presenti sul territorio, in modo da favorire interventi mirati.
«Si tratta spesso - scrive Degasperi - di attraversamenti lungo percorsi noti e ripetitivi, indispensabili per nutrirsi, incontrare propri simili, trovare riparo, ma che diventano sempre più difficili a causa della frammentazione e dell'isolamento degli ambienti naturali. I corridoi faunistici rappresentano quindi un necessario elemento per mettere in comunicazione spazi naturali che altrimenti rimarrebbero raggiungibili solo a fronte di altissimi rischi».
Degasperi sottolinea i danni alla fauna e dunque all'ecosistema trentino dal mancato rispetto per questi corridoi faunistici: l'innalzamento del tasso di mortalità invernale degli animali; l'abbassamento del tasso di natalità; l'innalzamento del carico di stress legato alla carenza di zone rifugio accessibili; l'aumento degli investimenti stradali e l'aumento dei danni (alla foresta e alle colture agricole) degli ungulati nei casi in cui le barriere non permettano loro di raggiungere le zone di svernamento.
Per questo si propone di «sviluppare un modello moderno ed efficiente, che valorizzi la salvaguardia della fauna anche attraverso la creazione di uno schema che valuti la necessità della collocazione di appositi corridoi faunistici artificiali. Le caratteristiche essenziali dei manufatti, già diffusi in molti Paesi europei, ovvero la corretta ubicazione, le giuste dimensioni e l'individuazione dei materiali, anche quello destinato al calpestio, necessitano di studio e conoscenza approfondita del territorio e delle necessità delle specie ivi presenti. Analogamente andrà facilitato "l'invito" a percorrere il corridoio con appositi accorgimenti strutturali per convogliare gli animali nella prossimità del passaggio».
La bocciatura della proposta per i corridoi faunistici è stata commentata criticamente dall'Oipa: "La mozione – spiega Oipa – chiedeva inoltre alla Giunta di presentare entro sei mesi lo studio nella competente commissione consiliare. Una decisione che si commenta da sé e in linea con la politica della Provincia guidata da Maurizio Fugatti, da sempre improntata alla mancanza di strumenti di prevenzione a tutela della fauna selvatica”, attacca il presidente dell’Organizzazione internazionale protezione animali, Massimo Comparotto.
Anche l'Ente nazionale protezione animali (Enpa), a metà ottobre aveva rilanciato alla Provincia l'appello, rimasto inascoltato, per un piano di azione su questo tema urgente.
dei dispositivi attuabili per mitigare questo pericolo.
Sono infatti numerosi gli interventi di mitigazione del pericolo che si possono mettere in atto, compresa la creazione di barriere dissuasive (luminose, sonore, olfattive) per tenere gli animali lontani dalle carreggiate (e incanalandoli verso punti più sicuri di attraversamento).
A rilanciare l'allarme è ora l'Ente nazionale protezione animali (Enpa) del Trentino, con la presidente Ivana Sandri, che chiede alla Provincia di mettere in atto azioni di prevenzione: interventi efficaci si possono mettere in cantiere, basta volerlo fare.
"Per rendere opportuna e stringente la nostra presa di posizione - spiega la presidente Enpa Trentino, Ivana Sandri - è sufficiente riprendere la notizia di una Sentenza di Corte d'appello diffusa dal quotidiano "L'Adige", secondo cui 'qualora la zona sia nota per l'attraversamento di animali, la Provincia non si può limitare a mettere un cartello che segnala la situazione di pericolo, ma deve prevedere misure di prevenzione ben più efficaci, al fine di ridurre il rischio di incidenti'.
L'articolo continua, affermando che nelle ipotesi in cui 'la presenza degli animali sulla carreggiata è frequente e ripetuta in modo costante nel tempo con aumento della percentuale di incidenti, l'apposizione dei segnali verticali di pericolo non basta.
Infatti in tali casi il rischio diviene intollerabile e sorge in capo all'ente competente il dovere di predisporre ulteriori mezzi per impedire o comunque ridurre la situazione di pericolo'.
Ma - prosegue Sandri - non basta, perché sempre secondo la sentenza citata, per la Provincia di Trento 'deriva l'onere di intervenire nelle situazioni a rischio con misure quali l'apposizione di catadiottri, catarifrangenti, passaggi obbligati, segnali luminosi o reti di protezione'.
Come è ormai ben noto, l’antropizzazione e l’ampliamento della rete viaria hanno ridotto drasticamente le aree libere, causando l'interruzione del sistema di attraversamento da un territorio all'altro, intercettando percorsi usati da tempi immemorabili dagli animali selvatici per spostarsi dalle aree estive a quelle invernali, dalle zone di pascolo o di caccia a quelle di riposo, dalle zone di corteggiamento a quelle di riproduzione.
È ormai attestato che la cartellonistica che segnala le zone a rischio non dà risultati (i reiterati, continui investimenti ne sono la dimostrazione evidente e incontrovertibile), perché l'abitudine la rende "invisibile" e inefficace.
I dati sugli incidenti hanno dimostrato come siano altrettanto poco efficaci i catadiottri, anche perché dovrebbero venir posizionati ad altezze differenti, a seconda della specie: 70 cm per il cervo, 55 per il capriolo, 45 per il cinghiale, inoltre non funzionano durante il giorno, ma solo nelle ore serali e notturne.
L’andamento dei dati non suggerisce alcun effetto diretto dei dissuasori, conferma che il numero di incidenti dipende da condizioni stagionali e mostra un aumento di rischio investimenti in alcuni periodi dell’anno, che possono variare leggermente in relazione alle specie e alle condizioni climatiche: in aprile/maggio, quando c’è la dispersione dei giovani verso nuovi areali, e in ottobre/novembre/dicembre, quando la caccia provoca allontanamenti forzati degli ungulati dai territori abituali e la disgregazione di gruppi sociali consolidati, con conseguente nomadismo degli animali, o quando gli animali si abbassano di altitudine per trovare cibo.
Le ore più pericolose sono quelle dell’alba, del tramonto e quelle notturne, le zone di maggior rischio quelle vicine a corsi d’acqua, alle coltivazioni e alle zone arative.
Un modello sui dati degli investimenti ha portato ad una definizione del rischio di investimento, con la rete viaria trentina classificata in quattro classi di rischio.
Oltre il 90% degli incidenti è localizzato in meno del 30% dell’intera rete viaria.
Inoltre circa il 10-12% della rete viaria presenta un fattore di rischio notevole, circa 300 volte quello nelle zone a basso rischio.
Quindi sono ormai noti i tratti viari che presentano un maggior rischio di investimento di selvatici.
Nel 2006 nella zona di Mezzana, in Val di Sole, una galleria parasassi è stata casualmente costruita in un punto ad alto rischio di attraversamento della fauna selvatica: si è evidenziato che il manufatto viene usato dagli animali selvatici, con sensibile diminuzione degli incidenti.
Ciò rende l’uso di corridoi faunistici (noti anche come sovrappassi, sottopassi, ponti verdi, eccetera) particolarmente valido, anche guardando alle molte esperienze simili messe in atto da parecchi anni in tutta Europa, con evidenti e notevoli risultati di efficacia.
Negli investimenti dei selvatici non vi è nulla di inevitabile: per questo sollecitiamo con urgenza la predisposizione, nelle zone ben note di transito dei selvatici, di attraversamenti protetti, perché i sistemi per risolvere le problematiche inerenti alla tutela della fauna e alla sicurezza dei cittadini esistono e funzionano".