Reati / Il caso

Molestata in treno da un uomo che si masturba, la denuncia di Non Una di Meno: «Ha fatto denuncia, ma è neanche reato»

Il racconto di una pendolare che andava al lavoro su un treno regionale: «Ho avvertito il capotreno, l’uomo però era già sceso. E alla Polizia Ferroviaria hanno preso nota, al massimo rischia una multa come un divieto di sosta»

TRENTO. Ancora una donna vittima di violenza, con un uomo che – sul treno – si è piazzato davanti a lei ed ha iniziato a masturbarsi. La denuncia viene dalla pagina facebook di «Non Una di Meno» di Trento.

«Diamo voce alle parole di una sorella che ci ha avvicinate qualche giorno fa:
“Sono pendolare per motivi di lavoro. È mattino presto e mi trovo in stazione. Al binario pochissime persone aspettano il mio treno, probabilmente per via delle attuali restrizioni anti Covid. Vado avanti e indietro per riscaldarmi e quando arriva il treno salgo verso la coda. Davanti a me, in coda, silenziosamente, altri passeggeri - al massimo 5 - salgono e prendono posto nel vagone, tutti distanziati fra loro. Io mi siedo al lato del finestrino nel senso di marcia del treno e mi metto gli auricolari per ascoltare un po’ di musica. Le porte si chiudono, il treno parte. Pochi secondi dopo un uomo che si era seduto al finestrino dall’altro lato nei posti più avanti a me, anche lui in direzione del senso di marcia, si sposta e si siede in direzione opposta, sul sedile che s’intravede in mezzo ai sedili di fronte a me. Ignoro il fatto e continuo a guardare fuori dal finestrino finché, con la coda dell’occhio, vedo la mano di quest’uomo continuare a muoversi. “Sto pensando troppo, ho troppi preconcetti, non può essere” penso. Dopo pochi secondi capisco che le mie sensazioni erano corrette: quell’uomo si stava masturbando di fronte a me guardandomi dalla fessura fra i sedili.

La mia reazione è immediata, mi alzo e mi dirigo verso la coda del treno, per evitare di passargli accanto. I vagoni sono tutti completamente vuoti. Cerco un contatto per il capotreno sulle pareti, ma non trovo nulla. Il treno arriva alla stazione successiva, mi sporgo per guardare se sia sceso. Non lo vedo. Le porte si chiudono di nuovo e io rimango nell’ultimo vagone da sola fino alla fermata successiva, dove scendo e corro in testa dal capotreno. Gli racconto quello che è successo. Lui va verso la coda del treno e non nota anormalità, torna indietro e fa un secondo controllo con la mia descrizione, nessuna anormalità. L’uomo probabilmente è sceso, ma nessuno lo sa con certezza.

Il capotreno mi chiede se può far altro per me, mi dice che ha fatto rapporto e che l’unica altra cosa che posso fare io sia esporre denuncia alla Polizia Ferroviaria una volta arrivati a destinazione. Scendo e mi dirigo verso il loro ufficio, pensando che il capotreno li abbia già avvisati come mi ha detto. L’ufficio è pieno di poliziotti, tutti uomini, nessuno dei quali sa cosa mi sia appena capitato. Rispiego i fatti da capo, dò una descrizione più dettagliata possibile del soggetto. La denuncia dura un’ora, forse più. Prendo il treno che mi porterà al lavoro ancora traumatizzata.

Qualche giorno dopo, scopro che quello che ho subito è valutato dalle leggi vigenti come “atto osceno in luogo pubblico” e come tale considerato non più reato penale se non in presenza di minori dal 2016. In una situazione come la mia la persona rischia una sanzione pecuniaria, poco più seria di una violazione di divieto di sosta.

Mi si conferma uno scenario che dentro di me già immaginavo: nessuno avrebbe fatto nulla. Mi sento doppiamente umiliata. Nonostante fossi ancora molto scossa, sono andata a esporre i fatti di fronte alle forze dell’ordine per un senso civico e per una fiducia nelle istituzioni. Non riesco a capire il senso di quello che ho subito e della proporzione della sanzione. Il treno era per me un mezzo sicuro con cui poter viaggiare. I giorni successivi all’accaduto, se non sono nello stesso vagone con il capotreno, mi sento fortemente a disagio. Sono consapevole che potrei incontrare di nuovo questa persona ai binari della stazione. Potrebbe rifarlo, magari con una persona più fragile. Una persona che fa questo genere di azioni, umiliando di fatto la persona che ha di fronte, non si pone limiti. 
Perché non si previene e non si tutelano le persone? Perché si aspetta che le cose accadano e lascino il segno sulle nostre vite?»
Il commento di NUDM: «Non vogliamo vagoni rosa, non vogliamo essere ghettizzate, vittimizzate, scortate. Vogliamo essere libere di attraversare qualsiasi spazio, a qualunque ora senza temere di essere aggredite. Per questo vogliamo che tutte le figure professionali che operano in un contesto di mobilità ferroviaria controllino e mantengano la sicurezza di tutti gli spazi  (stazioni, treni, spazi esterni etc). Questo è possibile solo attraverso una formazione che si occupi di violenza contro le donne.
Riteniamo che sia necessario trovare delle soluzioni pratiche per dotare ogni singolo vagone di un mezzo di comunicazione veloce, ad esempio un interfono, con il quale, al bisogno, raggiungere immediatamente il Capotreno. 
Ci pare evidente che il concetto di violenza, che ancora oggi è valutata attraverso le lenti del patriarcato intento a conservare i privilegi degli uomini, debba essere rivisto».

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