Albanesi, italiani e tunisini: ecco l’organizzazione dello spaccio, dal bar in piazza Duomo alle consegne nelle valli
L’operazione della Guardia di Finanza porta alla luce una potente organizzazione ramificata: dal «contabile» allo stratega alle staffette, capaci anche di dirigere tutto dal carcere
TRENTO. Durante i mesi più bui della pandemia il mercato della droga in città continuava a crescere. L'associazione a delinquere decapitata dalle indagini della Guardia di finanza è riuscita a crescere nelle piazze cittadine grazie ad una precisa gerarchia interna organizzata su più "costole".
La prima fa capo ai fratelli Albi ed Elison Hsanaj (residenti a Mezzolombardo) e ai cugini Kastriot (Mezzolombardo) e Artur Hasanaj (Trento). Vengono descritti come promotori del sodalizio criminale: secondo l’accusa tengono aggiornata la contabilità, programmano e pianificano le nuove forniture. Inoltre dispongono il taglio e il frazionamento del narcotico. Provvedono a nascondere le forniture.
Altro esponente di spicco secondo l'accusa è Valter Pella (residente a Mattarello): ha diretto l'attività dei propri sodali - sostiene l'accusa - disponendo svariate operazioni di trasporto, occultamento e confezionamento di ingenti quantitativi di droga. L'analisi della sua attività di spaccio ha evidenziato il ruolo di grossista.
In Alta Valsugana secondo gli inquirenti operava il gruppo che faceva capo a Saimir Osma indicato come capo promotore del sodalizio, «in grado di gestire le attività delittuose dall'interno della Casa circondariale "R. D'Amato" di Bologna dove è recluso. Si mantiene in contatto con l'esterno attraverso telefoni mobili nella sua disponibilità clandestinamente introdotti all'interno dell'Istituto.
In totale a Trento sono stati arrestati 11 albanesi, 2 italiani, 3 tunisini. Ma ci sono indagati raggiunti da misura cautelare residenti in varie località del Trentino; Altopiano della Vigolana, Frassilongo, Borgo Valsugana, Mezzolombardo, Mezzocorona, Roverè della Luna, San Michele all'Adige, Madrano.
Il reato associativo è confermato anche «dal costante e diffuso - scrive il giudice - spirito di collaborazione che caratterizza i rapporti tra i sodali. Gli atti dimostrano l'esistenza di specifici ruoli ,indiscussa esecuzione degli ordini all'interno del rapporto gerarchico. Gli affiliati, oltre ai compensi per la loro attività di spaccio, «hanno fruito dell'elargizione di sussidi e assistenza alle famiglie dei sodali tratti in arresto nell'esercizio delle attività illecite ed al pagamento delle relative spese processuali».
Gli investigatori del Gico hanno anche "decriptato" il "codice" utilizzato dagli spacciatori. Le dosi erano "birre", "farina" e "colla" indicavano tipologie diverse di narcotico; la "verza" era un chilo di marijuana. Invece il "contratto di lavoro" indicava una fornitura di droga concordata, mentre i "documenti" erano "denaro per l'acquisto di dosi di stupefacente".
«Vado in bici» significava che stava arrivando un carico di droga spesso anticipato da una staffetta per controllare l'eventuale presenza di mezzi delle forze dell'ordine lungo il tragitto.