Religione / Le esequie

Addio a frate Donini, con Cristo e Che Guevara (e in sella alla moto), sempre con gli ultimi

Al convento francescano di Pergine, l’estremo saluto al religioso, nato a Molveno: per anni cappellano a Cles, in prima linea occupandosi di malati fisici, alcolisti, tossicodipendenti salvati a centinaia, persone disagiate, immigrati

di Giorgia Cardini

PERGINE. Gesù, moto e Che Guevara. Fede, vitalità ed empatia: verso tutti, ma soprattutto verso gli ultimi. Questo era frate Tiziano Donini, dell'Ordine dei frati minori, che ieri pomeriggio è stato salutato a Pergine da tantissima gente, nella chiesa annessa al convento.

Non è stato un funerale colmo di dolore, quello di Tiziano, mancato martedì a 74 anni dopo tre anni di malattia e una "passione" durata tre giorni, ma una cerimonia pervasa di serenità: quella che accompagna le persone decedute in pace, che non lasciano nodi da sciogliere nella propria vita, e che anima chi crede che l'esistenza si compia davvero solo nell'ultimo, definitivo, passo.

E, certo, nella chiesa dei frati di Pergine la fede in una vita oltre la morte, nelle centinaia di persone presenti, era viva e palpabile: tanti i rappresentanti di quel volontariato vicino agli ultimi che fra Tiziano aveva coltivato per decenni, a Cles, occupandosi di malati fisici, alcolisti, tossicodipendenti salvati a centinaia, persone disagiate, immigrati.

Nell’eucarestia concelebrata dal ministro provinciale dei Frati minori Enzo Maggioni, dal definitore Massimo Cocchetti, da padre Cesare Francescotti e da Pierluigi Svaldi, guardiano a Pergine, la figura di fra Tiziano (nato Gino, a Molveno, nel 1947) è stata ricordata in tutte le sue sfaccettature e nei passi principali della sua vita: l'ingresso nell'ordine dei Frati minori nel 1965, gli studi teologici a Trento, il suo anno "illuminante" al Cottolengo dopo il quale decise che "sapeva cosa fare" (ha ricordato padre Pierluigi), il primo incarico a Molveno, con la consacrazione all'aperto, al sole, davanti alla chiesa appena distrutta da un incendio, la sua missione come cappellano all'ospedale di Cles.

E, di qui, la scoperta delle tante povertà, la collaborazione lunga col territorio e la fondazione della comunità di accoglienza, quella Casa a Cles dove tanti davvero si sono sentiti a casa. Quindi "la pausa di riflessione" nel 1997, il viaggio in Calabria con monsignor Bregantini, nelle terre della 'ndrangheta; quello in India, da madre Teresa di Calcutta; infine gli ultimi giorni di cristiana sofferenza.

Per frate Cesare, suo amico fraterno e compagno fin dai tempi del collegio, «Tiziano era un modello di vita: non un uomo di chiesa e sacrestia, ma un uomo che aveva incontrato Cristo e aveva trovato così la propria via».

Una via spesso "sulla strada", in sella alla moto che era la sua passione e il suo modo di stare tra la gente: «Un uomo di mondo, che infondeva a tutti allegria. Pensate a quante persone in difficoltà ha incontrato e aiutato, senza mai una discriminazione. Ma come ha fatto lui, possiamo fare tutti», ha detto Francescotti. Per il suo amico e compagno di missione, «Tiziano ha capito la vita ma anche come lasciare la vita, dandoci un grande insegnamento». Una lezione sul passaggio finale che è riecheggiata nel messaggio del teologo e biblista padre Alberto Maggi, fondatore del Centro studi biblici di Montefano, di cui il religioso morto a Pergine aveva fatto parte per anni.

Ma il momento più vibrante è arrivato alla fine, quando l'infermiera Antonella - che con padre Cesare e padre Modesto, Dolores, Laura e i medici si è presa cura del frate fino all'ultimo - ha restituito tutta la complessità di un uomo: «Tiziano, ti ricorderemo per il mitico saluto "in alto i cuori", per le fragorose risate, per il lungo applauso di quanto ti nominarono "Trentino dell'anno". Ora vai, sfreccia con la tua moto a incontrare i tuoi amici: e con Che Guevara fumatevi finalmente un sigaro insieme!».

Il fazzoletto rosso col volto del medico eroe della "revolución cubana" è apparso in quel momento al collo di un amico del frate, in piedi accanto al feretro. Un feretro accarezzato da molte persone alla fine delle esequie.

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