Molestie all’adunata degli alpini, Stefano Zecchi: “Maschilisti? No, cameratismo”. Ma Barbara Poggio lo stronca
Il presidente del Muse scrive: “Se fare un apprezzamento alle forme di una donna che passa è un reato, non credo che possa restare fuori dalla galera un solo solo alpino”. La prorettrice: non tutti gli alpini sono così
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TRENTO. Che fossero veri alpini o infiltrati, che abbiano agito con lucidità o sotto l'effetto di qualche bicchiere di troppo poca importa, il comportamento di qualche decina di penne nere all'ultima adunata degli alpini è censurabile. Eppure la condanna non è unanime. Stefano Zecchi, docente universitario e oggi presidente del Muse, è tra coloro che puntano il dito altrove. Contro le donne, colpevoli, a suo dire, di confondere il sano cameratismo con il maschilismo.
Non solo, Zecchi conclude il suo intervento sul "Giornale" con una frase che fa decisamente discutere: «È stato messo sotto accusa un modo d'essere inoffensivo e una tradizione». Un'offesa per gli stessi alpini, considerato che la stragrande maggioranza di loro non si identificano con coloro che con frasi e gesti inopportuni hanno messo in imbarazzo e in cattiva luce l'intero corpo. Immediata la reazione della prorettrice Barbara Poggio che con sarcasmo ha troncato l'intervento di Zecchi.
«Il problema siamo noi, il "mondo femminile, non solo femminista, ma proprio tutta la realtà femminile" che non riesce a comprendere il "cameratismo degli uomini" (sic) - scrive citando lo scritto di Zecchi - Ovvero quel nobile e sincero sentimento di solidarietà maschile che "nasce sui banchi di scuola" e che nei bei tempi passati trovava il suo "apogeo" nel servizio militare».
Zecchi parla di cameratismo come di un'esperienza fondativa per iniziare i giovani uomini alla vita adulta. Assolta anche la violenza legata al nonnismo: «Ma anch'essa apparteneva alla variegata galassia del cameratismo: non un gioco, ma, appunto, un'iniziazione alla vita. Cosa incomprensibile al mondo femminile che lo confonde col maschilismo».
«No, è che noi proprio non riusciamo a capire - ribatte ancora la Poggio nel suo intervento - . Anche perché diciamolo, la natura ci ha dotate di qualche risorsa in meno e quindi di fronte alla filosofia così come alle grandi verità della vita a volte siamo un po' confuse. E può dunque accadere che alcune di noi finiscano per confondere quel cameratismo che connota i comportamenti un po' licenziosi di poche centinaia di alpini festaioli con meri atti di maschilismo. Ed ecco che subito altre entrano in subbuglio, ma per cosa poi? Suvvia, cosa avranno fatto di male questi poveri alpini?».
Barbara Poggio prosegue citando Zecchi che dice: «Se fare un apprezzamento alle forme di una donna che passa davanti a loro, è un reato, non credo che possa restare fuori dalla galera un solo alpino". «Dove sta il problema se un alpino un po' espansivo cerca di leccare sulla bocca una barista, oppure se un altro palpeggia simpaticamente una cameriera, o se le si rivolge - scherzoso - mimando gesti osceni, oppure se un gruppo di amabili commilitoni, magari un po' brilli, incontrando una ragazza per strada le chiedono cordialmente di allargare le gambe? Non è che si sta un po' esagerando? Viene da chiedersi dove andremo a finire con tutto questo politicamente corretto: di questo passo inventeranno anche un reato di cameratismo», fa presente sarcasticamente la prorettrice.
La cosa grave, secondo Barbara Poggio, è che certi pensieri e certe affermazioni arrivino da un professore universitario, da un docente di filosofia, dal presidente di uno dei maggiori musei trentini, da una persona che non dovrebbe in alcun modo giustificare nessuna forma di violenza. «Non se lo può permettere. Siamo qui ogni mese a parlare di femminicidi, di modelli culturali da cambiare e invece si giustificano questi comportamenti. Così facendo siamo sulla strada buona per giustificarne anche altri, più gravi».