Foto hot di una ragazzina con delle fragilità sul suo cellulare, via dall’Italia
Permesso di soggiorno non rinnovato a un pakistano accusato di detenzione di materiale pedopornografico, adescamento e corruzione di una minore. Il Tar respinge il ricorso controo la decisione della questura
TRENTO. Ha avvicinato una ragazzina con fragilità e, per carpirne la fiducia, le ha fatto alcuni regali. Quando è cresciuta la confidenza, le ha chiesto di mandargli via cellulare fotografie intime e poi qualche filmato "a luci rosse". Lui stesso si riprendeva senza vestiti e in atti di autoerotismo e poi mandava i suoi video alla ragazza, che non ha ancora compiuto 18 anni.
Il "lupo" travestito da agnellino è un giovane straniero di origine pakistana, che si trova in Trentino assieme al padre ed ai fratelli. È finito davanti al giudice per l'udienza preliminare per i reati di detenzione di materiale pornografico, corruzione e adescamento di minorenne, reati per i quali, assistito dall'avvocato Fulvio Carlin, ha patteggiato la pena di un anno.
Per il giudice ha adescato la minorenne "con più condotte esecutive del medesimo disegno criminoso, pure approfittando delle condizioni psicofisiche della persona offesa". Le foto ed i video della ragazzina erano sul cellulare dello straniero, che come risulta dagli atti deteneva pure materiale di natura pedopornografica sadica. Il giovane pakistano ha patteggiato la pena, ma la faccenda non è del tutto chiusa: potrebbe essere costretto a lasciare il territorio italiano.
Il questore non gli ha rinnovato il permesso di soggiorno e il ragazzo si è visto anche respingere il ricorso presentato al Tribunale amministrativo regionale. Secondo la questura va tenuto conto della "situazione critica" dello stato del ragazzo, che non ha intrapreso alcun percorso psicologico di sostegno, utile per l'elaborazione dell'accaduto e per scongiurare il rischio di ricadere in futuro in gravi analoghi comportamenti.
Nel provvedimento di rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno viene considerato lo "scarso inserimento nella società italiana" del giovane, che "vive e lavora solo nella stretta cerchia della comunità" a cui appartiene, che è in Italia non da molto tempo e "che quindi un eventuale rientro in Patria non gli procurerebbe problematiche di adattamento, anzi gli permetterebbe di ricongiungersi alla madre e agli altri parenti". In Trentino vivono il padre ed i fratelli, mentre nel suo Paese d'origine è rimasta gran parte della famiglia.
Secondo la questura "l'allarme sociale conseguente al comportamento dell'interessato" è "preminente rispetto al suo diritto all'unità familiare con il padre, pure in considerazione del fatto che detta unità familiare risulterebbe garantita anche dalla sua convivenza con la madre" in Pakistan. Nel ricorso al Tar l'avvocata Giovanna Frizzi, che difende il giovane nel procedimento amministrativo, ha evidenziato che non sarebbe stato formulato alcun giudizio di pericolosità sociale del soggetto, come dimostra l'entità contenuta della pena e la sospensione condizionale.
Per il collegio, presidente Fulvio Rocco, i reati per cui il giovane ha subìto la condanna non sono automaticamente ostativi al rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ma si rileva che il provvedimento della questura "ha posto a fondamento della decisione il comportamento tenuto dal ricorrente (...) e l'ha ritenuto sintomatico della pericolosità" del soggetto, senza dimenticare "il rilevante allarme sociale che siffatti reati generano nella comunità", soprattutto se coinvolgono minori.
In merito al mantenimento dell'unità familiare, per i giudici del Tar il giovane si è ricongiunto con il padre e con due fratelli in Italia, ma fino a poco tempo prima viveva in Pakistan con la madre, con un altro fratello e con due sorelle coniugate: "situazione, questa, che può ben testimoniare la presenza di legami familiari del tutto significativi nel suo Paese d'origine", come si evidenzia nella sentenza. Il ricorso, dunque, è respinto. La difesa sta valutando se impugnare la sentenza.