I trentini nell’inferno del terremoto turco-siriano: «Scossa fortissima, una tragedia nella tragedia»
Federica Patton vive a Gaziantep ed è riuscita a mettersi in salvo, mentre Mattia Leveghi si trova in Siria. Il dramma di turchi e siriani a Trento, tra di loro anche studenti e dottorandi. In foto Leveghi e Asiye Malkoç
TRENTO. Una tragedia di dimensioni enormi. Una vera apocalisse con migliaia e migliaia di morti. La terra ha tremato nella notte tra domenica 6 e lunedì 7 febbraio e poi per tutta la giornata di lunedì tra Turchia e Siria, con case e palazzi che sono crollati, interi quartieri rasi al suolo, strade e ponti distrutti. Un sisma mille volte superiore a quello di Amatrice, giusto per rendere l'idea della potenza.
La Farnesina ha assicurato che non ci sono italiani tra le vittime ma Angelo Zen, originario del Veneto, risulta disperso. A livello di Protezione civile, per ora quella trentina non è stata attivata, ma le richieste arrivate a Roma sono ovviamente molte. E, c'è da scommetterci, se arriverà una richiesta concreta il Trentino sarà pronto a muoverci, perché il cuore grande della nostra provincia non ha mai esitato di fronte alle tragedie e non lo farà nemmeno questa volta. Ma, come detto, per adesso è ancora tutto fermo.
Nella zona dell'epicentro, a Gaziantep in Turchia, vive anche la trentina Federica Patton, che lavora per un'organizzazione internazionale: fortunatamente è riuscita a mettersi in salvo, sta bene e non è rimasta ferita sotto i tanti crolli che si sono verificati nella zona.
Mattia Leveghi, 31 anni di Trento, dallo scorso settembre è a Damasco per lavoro, in quanto coordinatore della Ong Intersos, l'organizzazione con sede a Roma che è in prima linea nelle emergenze umanitarie aiutando donne e bambini vittime di guerre, violenze e disastri naturali. «Damasco è distante dal confine a nord con la Turchia - ci racconta - ma le conseguenze della scossa si vedono in tutto il Paese. Anche noi abbiamo sentito tremare le pareti nella notte tra domenica e lunedì e ci sono state poi per tutto il giorno le scosse di assestamento. Inoltre molte delle nostre attività si svolgono proprio nella parte nord del Paese e quindi abbiamo trascorsa la giornata sentendo i colleghi che sono lì e che ci riportavano una situazione tragica. La conta dei morti e dei feriti purtroppo continua e per quanto riguarda la parte siriana procede piuttosto a rilento, perché le informazioni che arrivano sono incomplete e sono ore di grande confusione».
D'altra parte stiamo parlando di un Paese nel quale il terremoto è solamente l'ultima in ordine di tempo delle tragedie. «C'è un conflitto che va avanti da 12 anni. E poi quattro mesi fa c'è stata un'epidemia di colera e a nord da qualche giorno c'è una tormenta di neve. Gran parte della Siria non ha corrente elettrica ed è difficile trovare carburanti. Qui ci sono 22 milioni di persone e oltre 15 hanno bisogno di assistenza umanitaria. I finanziamenti lo scorso anno hanno coperto appena il 40% delle richieste. Il contesto era già complicatissimo, questa tragedia non fa che accrescerlo ulteriormente».
Come accennato le informazioni arrivate nei primi giorni a Damasco sono state parziali: «La nostra organizzazione è italiana ma parte dello staff è composto da siriani: le info e gli aggiornamenti sono arrivati da loro, dalla Mezzaluna araba siriana e dalle autorità locali, oltre che dai media internazionali. Ci hanno detto che tante case ed edifici, già danneggiati dalla guerra, sono crollati immediatamente. La tragica conta è destinata a peggiorare ora dopo ora. Il futuro? Speriamo nella solidarietà internazionale. È l'unica prospettiva per il futuro di una Siria che già era in ginocchio e ora lo è ancora di più».
Da un trentino in Siria a un siriano in Trentino. Aboulkheir Breigheche, medico e Imam di Trento, ha vissuto una giornata difficile: «Seguo ora dopo ora quanto accade e ricevo informazioni davvero drammatiche. La conta dei morti sotto gli edifici crollati non si ferma: non ho parenti in quella zona, ma amici che ci raccontano e di mandano fotografie, video e notizie».
«Al nord della Siria, come nel resto del Paese purtroppo, ci sono molti campi profughi ai quali anche noi mandiamo degli aiuti. L'ultimo è stato un container partito grazie alla collaborazione con l'aeroporto di Aviano pieno di attrezzature medico sanitarie. Pensavamo servissero per la guerra, ora serviranno anche per l'ospedale da campo in seguito al terremoto. Apprezziamo la solidarietà arrivata da tutti, anche dal papa e dal presidente della Repubblica, e ora speriamo che alle parole seguano aiuti concreti. Il dramma è grandissimo».
Asiye Malkoç vive a Trento da due anni e sta facendo un dottorato in neurobiologia al Cibio. È una delle circa cinquanta tra studenti e dottorandi che vivono in città grazie ai progetti con l'Università. Lunedì è stata una giornata drammatica, trascorsa con un occhio fisso al telefono per sapere le ultime notizie: «La mia famiglia vive a Trabzon, nella parte nord est della Turchia: nonostante la distanza dall'epicentro la scossa, anzi le scosse si sono sentite bene e ci sono stati danni agli edifici. Io ho saputo ieri mattina con tanti messaggi di amici e parenti e le notifiche delle notizie: è stato uno shock, anche se non ho capito immediatamente la portata della tragedia. Poi ho acceso la tv turca e letto i giornali, vedendo video e foto ed è stato chiaro che ero davanti al disastro più grande della storia turca. Ho subito sentito parenti e amici: per fortuna la mia famiglia sta bene, mentre altri amici hanno perso le case e altri ancora stanno attendendo i soccorsi e sono bloccati sotto le macerie».
«In Turchia è partita subito la macchina della solidarietà e tutti stanno cercando di dare una mano in prima persona per salvare le persone tra le rovine. Ora ogni tipo di aiuto è davvero importante per il mio Paese: è difficile tirare le somme della tragedia, quello che è certo è che è davvero immensa». A Trento era presente la squadra di basket del Turk Telekom Ankara, che martedì ha sfidato l'Aquila al PalaTrento. La società del presidente Longhi ha espresso vicinanza e solidarietà agli avversari e, prima del match, si è svolto un minuto di silenzio in memoria delle vittime.