Autorizzato a 16 anni a cambiare sesso: sentenza del tribunale, la prima in Trentino
La giovane si è identificata con il sesso femminile fin dall’infanzia. Una bambina nel corpo di un bambino: i giudici, interpellati dai genitori, le hanno dato il consenso definitivo a sottoporsi agli interventi chirurgici per il cambiamento
LA TESTIMONIANZA «Per me un traguardo e ho capito di non essere sola»
TRENTO. Il tribunale di Rovereto ha autorizzato con sentenza definitiva, non appellabile, un 16enne roveretano a sottoporsi agli interventi chirurgici per il cambiamento di sesso. Nello stesso provvedimento i giudici Giulio Adilardi, Riccardo Dies e Giulia Paoli hanno ordinato che il nome del giovane sia cambiato nella versione al femminile.
È la prima sentenza del genere in Trentino. Il giovane ed i suoi genitori sono stati rappresentati, nell’iter processuale che porterà il ragazzo trans ad essere definitivamente considerato dalle istituzioni pubbliche una ragazza, dall’avvocato Alexander Schuster.
La sentenza del tribunale di fatto autorizza la completezza irreversibile di un percorso che la giovane trentina, insieme con i genitori, sta vivendo da diversi anni.
La giovane si è infatti identificata con il sesso femminile fin dall’infanzia. Una bambina nel corpo di un bambino. Una condizione che ha portato il policlinico Careggi di Firenze a diagnosticarle un “disturbo della identità di genere”.
Diagnosi in base alla quale la giovane nel 2019, a dodici anni, ha iniziato un percorso clinico per la gentione del disturbo e dell’iter della transizione. Iter che ha visto nel 2020 la giovane, che all’epoca aveva 13 anni, iniziare un trattamento ormonale prima per sospendere lo sviluppo puberale maschile e poi, nel 2022, una terapia a base di estrogeni a dosi crescenti per indurre lo sviluppo, si legge nel dispositivo, «in senso conforme all’identità di genere».
Il trattamento ormonale è tuttora in corso. Nell’analisi di giudizio compiuta dai giudici ha avuto un peso importante il fatto che la giovane, studentessa in un istituto superiore della città, abbia «fatto coming out» da due anni e sia «quindi riconosciuto (come soggetto femminile, ndr), in ogni ambito sociale, compresa la scuola, e nei principali social network».
I giudici hanno dato responso positivo alle istanze presentate dai genitori della giovane (che, essendo minorenne, non ha la possibilità di intentare in proprio simili atti giudiziari) anche in considerazione della volontà e consapevolezza domostrate dalla ragazza durante l’audizione in tribunale.
«I risultati della terapia ormonale femminilizzante sono immediatamente percepibili - è scritto in sentenza -, tanto che il giudice ha dato atto nel corso dell’ascolto che il soggetto ha aspetto, movenze e voce femminili. In sede di ascolto si è inoltre avuto pieno riscontro sia, in generale, della piena maturità psichica del minore, capace certamente di cognizione e volizione, sia, in particolare, della ferrea convinzione e determinazione maturata da quest’ultimo in relazione al mutamento di sesso e alla condizione di armonia tra l’identità femminile - da sempre percepita - e quella fisica raggiunta in seguito alle terapie farmacologiche, che hanno modificato i caratteri sessuali secondari dell’attore, nonché la volontà di portare a termine il percorso intrapreso».
La scelta dei giudici in ultima analisi è stata determinata dall’esigenza di tutela «del diritto all’identità in generale e all’identità sessuale in particolare e, in via mediata, il benessere psico-fisico dell’individuo, indubitabilmente compromesso dal fatto di vivere costantemente una discrasia fra l’idenità sessuale percepita e quella resa manifesta attraverso i propri dati anagrafici, da un lato, e il proprio corpo, dall’altro». «Il diritto all’identità sessuale - concludono i giudici - quanto il diritto alla salute, sono diritti della personalità, dotati di copertura costituzionale che competono ad ogni individuo in quanto tale, sin dal momento della nascita, e rispetto ai quali, dunque, è del tutto irrilevante il requisito della maggiore età».