Ambiente / Intervista

«L'impatto sulla salute punto centrale nella scelta fra gassificatore e termovalorizzatore»

Parla il professor Marco Ragazzi dell'Università di Trento, che ha collaborato anche alla stesura del nuovo Piano provinciale dei rifiuti: fra le due opzioni esiste anche la via intermedia di usare il gas combustibile in altro modo con produzione finale di energia

di Franco Gottardi

TRENTO. Termovalorizzatore o inceneritore? Trento o Rovereto? La politica è chiamnata a decidere sulla base delle valutazioni tecniche sviluppate dagli esperti nel famoso addendum del quinto aggiornamento al Piano provinciale dei rifiuti, approvato due settimane fa dalla giunta provinciale.

Un documento a cui hanno collaborato Fbk e Università. Tra chi ci ha lavorato c’è anche il professor Marco Ragazzi.

Professore, termovalorizzatore o gassificatore? Quali sono le differenze principali e come dovrà avvenire la scelta migliore?

Partiamo dalla soluzione Bolzano. L’inceneritore deve ormai avere un sistema di recupero energetico ed è per questo che si parla di termovalorizzatore.

Il rifiuto tal quale viene raccolto, messo in un forno dove esce vapore a 850 gradi. L’impianto è collegato con una serie di utenti col teleriscaldamento, eppoi c’è una parte di produzione energetica.

Questa è sicuramente la soluzione più diffusa in Europa e il caso di Bolzano in particolare è stato studiato a lungo anche dall’Università. Eravamo già stati coinvolti nel 1999 quando c’era in funzione l’impianto precedente e ogni tanto abbiamo avuto occasione di vedere l’evoluzione col nuovo impianto del 2013. Ora lì si parla anche di riciclo delle scorie.

Quanto inquina?

La ricaduta al suolo è trascurabile. Ma questo non vale per tutti i termovalorizzatori, non mi piace generalizzare. Bisogna vedere caso per caso quali sono le condizioni.

Il gassificatore come funziona?

Qui in pratica regolando l’ossigeno si ha una combustione a temperature più basse ma invece che produrre fumi produce di fatto un gas combustibile, un prodotto chimico poi riutilizzabile. Qui volendo si può lavorare a temperature di qualche centinaio di gradi.

Quale il sistema migliore?

Su questo vorrei fare un chiarimento. Si è creata in ambito locale una certa contrapposizione tra termovalorizzatore e gassificatore, che spesso è presentata come contrapposizione totale. ma non è proprio così. In realtà la produzione di un gas combustibile tramite la gassificazione è solo una delle opzioni. Ma c’è anche la via di usare il gas combustibile in altro modo e nel documento predisposto da Fbk si trova anche una via intermedia che prevede la gassificazione con produzione di un gas combustibile che mando in una unità di combustione per ottimizzare la stessa usando un prodotto che mi dà vantaggi di tipo ambientale. È una combustione indiretta, una soluzione intermedia con produzione finale di energia come nel caso di Bolzano.

Quindi c’è la possibilità di scegliere tra termovalorizzatore, gassificatore o sistema intermedio, diciamo ibrido. Lei cosa consiglierebbe?

Io penso che sarebbe interessante lasciare liberi i partecipanti ad una gara di fare le proposte da cui poi scegliere quella migliore.

Ma la scelta di un sistema rispetto ad un altro non incide anche sulla scelta di dove collocare l’impianto?

Sì questo è un altro aspetto delicato. Chiaro che la gassificazione con un prodotto chimico non prevede un calore da sfruttare col teleriscaldamento e quindi posso metterla in qualsiasi posto sia logisticamente comodo. se invece vado su un termovalorizzatore non posso non notare che, ad esempio, a Rovereto una rete c’è già a cui potersi allacciare. Dunque sì, un legame tra metodologia e collocazione c’è. E per gli amministratori la cosa diventa più complicata.

E se si andasse su una soluzione intermedia, quale sarebbe l’impatto ambientale?

Dipende da come gestisco la combustione del gas. Io sarei dell’idea che si fissano gli obiettivi ambientali e poi da lì chi dovesse partecipare alla gara deve fare quello che serve per arrivare a quel risultato. Sarebbe come dire mettiamo al centro il tema salute. Già vent’anni fa quando avevamo collaborato come Università all’ipotesi di inceneritore a Ischia Podetti avevamo lavorato proprio sull’impatto minimo con parametri molto restrittivi.

E per quanto riguarda le scorie?

Si potrebbe prevedere in ogni caso che vengano riciclate, come farà anche Bolzano a breve. Si sta facendo sempre di più, con impianti esterni che le trasformano in prodotti per l’edilizia. E si può fare sia a valle di una termovalorizzazione che di una gassificazione. Si procede con un’estrazione di metalli e poi semplificando rimangono degli inerti per l’edilizia.

La presenza o meno di un camino, visto che con il gassificatore non serve, è un vantaggio solo psicologico o reale?

Il camino se è fatto alto è per ridurre l’incidenza. A Ischia Podetti si parlava di cento metri perché si era visto che scendere più un basso portava a rilasciare i fumi in una zona dove l’Ora del Garda crea turbolenze difficili da “governare”. Io il camino lo vedo però come un’opportunità da sfruttare. È l’ultimo passo per un impianto a basso impatto e le variabili di temperatura e altezza sono da studiare.

Ma è vero che l’incidenza delle emissioni è così trascurabile?

L’incidenza zero non esiste. Ma avendo un prodotto in parte non di origine fossile come il rifiuto ho un vantaggio in termini di emissioni di CO2 rispetto ad esempio a un riscaldamento a gas.

A Ischia Podetti sarebbe poco efficiente fare un termovalorizzatore allacciato a un teleriscaldamento per questioni di distanza?

Bisognerebbe ovviamente realizzare la rete e capire cosa c’è di energivoro a distanze non troppo elevate; poi bisognerebbe attraversare l’Adige, ma quello non sarebbe un grosso problema.

Si dice che la termovalorizzazione sia una tecnologia consolidata e affidabile e la gassificazione molto meno. È cosi?

I gassificatori sono molto diffusi in Giappone e sono di solito impianti più piccoli. Il problema più che di affidabilità credo che sia legato al fatto che essendo impianti diffusi fuori dall’Europa fanno riferimento a logiche autorizzative diverse e forse questo potrebbe rendere più complesso adattare un progetto agli standard dell’Ue.

E per quanto riguarda allora un modello intermedio?

C’è un modello simile che in scala ridotta viene testato a Pergine Valsugana, proposto a livello industriale. Ma ricordo che anche quando si discuteva di inceneritore vent’anni fa era stata presentata una soluzione simile.

Quanto ci vuole dal momento della decisione per realizzare un impianto?

Tra preparazione di una gara, scelta e lavori, tenendo conto anche di una fase pre elettorale che sicuramente interferisce, sarebbe bello riuscire a concludere e a bruciare la prima tonnellata di rifiuti entro cinque anni.

comments powered by Disqus