TRENTO. Quella tazza con una frase shock ha fatto scoppiare una polemica non solo sui social: “Un po’ la Franzoni la capisco”.
La tazza è stata lanciata per la Festa della mamma 2023 ed è uno dei prodotti proposti dall'azienda pugliese Piattini Davanguardia: si può mettere nel carrello nel sito Web e costa 25 euro.
Ma non pochi si sono inalberati, da chi giudica inaccettabile totalmente l'iniziativa a chi trova quantomeno di cattivo gusto quel riferimento a uno dei casi giudiziari più drammatici degli ultimi decenni, l'infanticidio di Cogne.
Sono passati oltre vent’anni da quella mattina in cui il piccolo Samuele Lorenzi, di soli 3 anni, viene trovato morto nel letto dei genitori, nella loro villetta nei pressi di Cogne, un paesino montano in Val D’Aosta.
Molte le domande ancora aperte su questo efferato omicidio che ha visto la madre, Annamaria Franzoni, unica indiziata e poi condannata.
Un fatto terribile, una tragedia indicibile, ora evocata da una elegante tazza bianca made in Bari sulla quale si gioca anche con lo stile dei caratteri, per la scritta: piccolo, grande, corsivo, stampatello, con il cognome "FRANZONI" cui si è dedicata la dimensione maggiore del font.
I creatori della tazza (che nella loro linea propongono anche il set di due tazze "Rosa" e "Olindo") hanno tentato con un post sul profilo Instagram di fornire spiegazioni, ma non sembrano aver convinto la gran parte dei commentatori: "Qui nessuno sta scherzando su una tragedia, tantomeno sta facendo ironia. Si tratta di una riflessione, punto.
Accettare un atteggiamento non un’azione.
Avere una crisi d’ira nei confronti di un figlio è lecito così come tante mamme si sono trovate nella situazione di aver pensato 'lo uccido!'. Noi 'un po’' la Franzoni la capiamo ma non giustifichiamo ciò che ha fatto. Qui nessuno vuole incitare nessuno a uccidere esseri umani. Amen", scrive Piattini Davanguardia.
Un commento che semplifica l'umore diffuso rispetto anche a questo testo è dell'utente dj.simi1: "Ma quale riflessione? Questa risposta è una delle arrampicate sugli specchi più patetica che abbiamo mai letto... vergognatevi".
Questo uno degli altri numerosissimi commenti alla "giustificazione" aziendale: "La cosa pazzesca è che date anche delle spiegazioni in merito, invece che togliere immediatamente questo schifo", scrive l'utente mirtillimarta sotto il post dei Piattini Davanguardia.
E in effetti, c'è di che riflettere su un'operazione commerciale che per estensione e analogia potrebbe allora replicarsi per chissà quanti altro orrori della storia e della vita.
Un'operazione commerciale che, peraltro, ora paradossalmente ha più visibilità proprio in virtù delle critiche indignate che ha suscitato.
Per la cronaca: il 30 gennaio 2002 Annamaria Franzoni chiama il 118 preoccupata perché il figlioletto Samuele sta perdendo sangue dalla bocca, in un'altra telefonata afferma che gli è scoppiato il cervello e in un’altra ancora che sta vomitando sangue. Al suo fianco, al momento della telefonata, c’è Ada Satragni, una dottoressa amica di famiglia. È lei, infatti, la prima ad accorrere, e per lei all’inizio si tratta di un aneurisma ma, all’arrivo dell’eliambulanza, i soccorritori non hanno dubbi: è un omicidio, bisogna avvertire i Carabinieri.
L’autopsia stabilisce che al piccolo Samuele sono stati sferrati una quindicina di colpi con un corpo contundente ma l’arma del delitto non viene mai ritrovata.
Per l’omicidio, il 21 maggio del 2008, la Corte Suprema di Cassazione ha riconosciuto colpevole la madre, Annamaria Franzoni condannandola in via definitiva a 16 anni.