Sfregia la moglie, condannato a 6 anni. Dopo la sentenza lei lo abbraccia
Il 38enne, residente a Trento, aveva ferito la donna con un coltello dopo una lite per strada, a Madrano. Ma ha continuato a ripetere che le vuole bene. La vittima non si è costituita parte civile
TRENTO. Ha continuato a sostenere che non voleva fare del male alla moglie, perché le vuole bene. Eppure in quel pomeriggio d'estate, complice anche l'alcol, è stato lui ad impugnare il coltello e a sfregiarla. L'uomo, un 38enne di origine tunisina residente a Trento, è stato condannato a 6 anni di carcere per lesioni gravissime (ossia lo sfregio o la deformazione permanente del viso). La procura aveva chiesto 10 anni.
La donna era in aula alla lettura della sentenza, ma non come parte lesa: è corsa ad abbracciare il marito prima che la polizia penitenziaria lo portasse di nuovo in carcere. Come l'avvocato dell'imputato ha evidenziato, chiedendo l'assoluzione, l'amore fra i coniugi non è mai finito e non c'è alcuna richiesta di separazione, così come non era intenzione dell'uomo ferire la moglie.
Ma la giustizia non entra nel merito dei sentimenti, valutando invece i fatti. L'episodio che ieri è stato ripercorso davanti ai giudici del collegio (presidente Claudia Miori con Greta Mancini e Massimo Rigon) è avvenuto il 29 giugno scorso, a Madrano, dove la coppia si era fermata con l'auto al rientro da una passeggiata. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, ci sarebbe stata una prima discussione in un bar sull'altopiano di Piné. Mentre stavano tornando a casa a Trento, si erano poi fermati a Madrano nei pressi di un locale. Qui ci sarebbe stata una seconda discussione, con la donna che era uscita dall'auto e l'uomo, con il coltello in mano, che l'aveva raggiunta e colpita, ferendola al collo, alla guancia ed all'orecchio (41 giorni di prognosi).
Il tunisino, all'arrivo dei soccorritori, avrebbe cercato di aggredire pure loro. Fermato dai carabinieri ed arrestato per lesioni gravissime, reato punito con la reclusione da 8 a 14 anni, l'uomo era comparso il giorno seguente in tribunale per la direttissima ed aveva fornito la sua versione dei fatti. Aveva detto di provare gelosia per la moglie, perché convinto che lei avesse un altro, ma anche di avere la sensazione che lei lo volesse "incastrare". «Ma noi ci vogliamo bene» aveva detto, ammettendo di aver perso il controllo, ma aggiungendo poi che non voleva farle male e che non si sarebbe neppure accorto di averla ferita.
Ma l'arma, come emerso dalle indagini, era nella sua disponibilità: un coltello con lama per scuoiare di 8 centimetri e mezzo. Era invece rimasta senza riscontro la sua affermazione in merito alla presenza sul luogo dell'aggressione di una persona sconosciuta che l'avrebbe preso alle spalle, facendo cadere lui e la moglie.
In aula erano presenti sia l'imputato che la vittima, che però non si è costituita parte civile, né ha manifestato l'intenzione di lasciare il marito, sposato un anno e mezzo fa. Entrambi speravano evidentemente di tornare a casa insieme. Così non è stato: l'uomo, già condannato per resistenza a pubblico ufficiale, per reati connessi agli stupefacenti e per porto di armi e oggetti atti ad offendere, è tornato in carcere dove sconterà la pena. Alla lettura della sentenza, appresi i sei anni di condanna, l'imputato è rimasto immobile per qualche secondo, quasi attonito; incredula anche la moglie, seduta in fondo all'aula, che ha voluto avvicinarsi a lui per un ultimo abbraccio.