Montagna / Il racconto

Il ricordo dell'amico: «Lui era esanime in parete, l'ho abbracciato e recuperato»

Ad un anno dal tragico incidente che costò la vita ad Ermanno Salvaterra, l’amico e collega Franco Nicolini racconta il doloroso intervento di soccorso: “Non è stato poi facile riprendere la quotidianità, ma ho la fortuna di avere qui al rifugio tutta la mia famiglia e insieme abbiamo trovato la forza per guardare avanti” 

L'INCIDENTE Ermanno Salvaterra muore sul Campanile Alto

TRENTO. Rifugio Pedrotti alla Tosa. Franco Nicolini è l'uomo che un anno fa ha recuperato in parete Ermanno Salvaterra. L'alpinista di Pinzolo era con un cliente e da primo di cordata scalavano il Campanil Alto nel cuore del Gruppo Brenta. Franco ed Ermanno erano amici, facevano lo stesso mestiere, guide alpine e anche, se pur in momenti diversi, gestori di rifugio. Franco è al Pedrotti alla Tosa da 12 anni, in questa stagione il rifugio è solo presidio, per via dei lavori di ristrutturazione dell'edificio della Sat, da poco iniziati. Nicolini con la famiglia, fornisce un servizio di ristoro e non di alloggio.

Franco ci racconta i momenti del soccorso all'amico Ermanno il 18 agosto di un anno fa. «Con Ermanno eravamo amici, oltre che colleghi. Lui è stato l'uomo del Torre, ma direi della Patagonia in generale. A quella terra era legato, una parte importante della storia dell'alpinismo patagonico l'ha scritta lui, con molte salite e nuove vie. E anche qui nel Gruppo Brenta Ermanno ha lascito delle belle tracce. I miei concatenamenti sono nati anche grazie ad Ermanno».

Il 18 agosto dello scorso anno. «Era una giornata di bel tempo e nel primo pomeriggio vengo chiamato dall'elicottero del Nucleo dei Vigili del Fuoco ed invitato a prepararmi, essendo io elisoccorritore, per collaborare ad un soccorso sul Campanil Alto, da dove è partita una richiesta di aiuto. Mi preparo con l'attrezzatura in piazzola, l'AW 139 aterra, salgo e il pilota decolla subito dirigedosi al Campanil Alto. Giriamo attorno alla vetta dolomitica e vediamo un alpinista penzolante nel vuoto che non si muove ed il suo compagno che tiene la corda, alla quale è assicurato. Scendiamo io e Renzo Corona con il verricello verso l'alpinista che tiene la corda. Allestiamo il punto di ancoraggio, chiedendogli come sta. Ci rassicura e contemporaneamente ci dice il nome dell'alpinista penzolante: Ermanno Salvaterra. Ho avuto un momento, durato alcuni secondi, difficile, mi sono sentito gelare il sangue nelle vene. Sono un elisoccorritore da molti anni, ma una situazione così non mi era mai capitata e da come avevo visto il corpo nel sorvolo, temevo. Poi mi sono riagganciato al verricello e il pilota mi ha portato fino ad Ermanno che era esanime. L'ho allacciato al verricello e ho tagliato la sua corda. Lo ho abbracciato e poi siamo andati alla piazzola del rifugio, dove ci aspettava l'equipe sanitaria, che ha tentato di rianimarlo. Subito, quando lo avevo staccato dalla sua corda, ho capito che Ermanno purtroppo se ne era andato».

La montagna è purtroppo anche questo. «Non è poi stato facile riprendere la quotidianità, ma ho la fortuna di avere qui al rifugio tutta la mia famiglia, pure loro scossi e insieme abbiamo cercato di guardare avanti».

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