Nella “guerra” tra le aziende perde il lavoro: dipendente lasciata a casa, licenziamento illegittimo
La donna, assieme ad alcuni colleghi, si era dimessa da una ditta per essere assunta dalla società concorrente, ma la nuova occupazione è durata meno di due anni. Disposto il reintegro: ecco perché
TRENTO. Nella guerra commerciale fra due aziende, a farne le spese è stata una dipendente: ha accettato l'offerta della ditta concorrente con la prospettiva di una carriera nel settore in cui aveva maturato esperienza, salvo poi trovarsi disoccupata a causa di alcuni - non meglio chiariti - «problemi di mercato». Un licenziamento illegittimo: lo ha deciso il tribunale di Trento, con sentenza confermata in appello; infine la Cassazione, con ordinanza depositata nei giorni scorsi, ha dichiarato inammissibile il ricorso della società che aveva lasciato a casa la dipendente.
La vicenda ha inizio nel 2015, quando la donna ha cambiato lavoro, pur rimanendo nelle stesso settore delle pulizie industriali, dimettendosi senza preavviso per essere subito assunta dalla società concorrente. Il nuovo impiego è durato poco: nel 2017 è stata licenziata per la necessità - secondo la società - di una «riorganizzazione dell'area commerciale aziendale, anche al fine di contenere i costi dell'area in perdita e di rendere più produttiva la rete», ma anche tenuto conto degli «scarsi risultati oggettivi rilevati dell'area assegnata» alla dipendente.
Queste le motivazioni riportate nella lettera di licenziamento. La donna si è rivolta al tribunale, sostenendo che lei ed altri colleghi erano stati assunti dalla società «al solo fine di distruggere la rete di commerciale dalla concorrente omissis» e non, come prospettato inizialmente, per sviluppare l'attività nella zona di mercato. Il giudice ha riconosciuto che il licenziamento era illegittimo, ordinando il reintegro della donna nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno, pari ad una somma netta di 40mila euro.
La azienda ha tentato la via dell'appello, ma si è vista respingere il ricorso: il collegio, nella sentenza, ha a riconosciuto l'esistenza di una "guerra" con la ditta concorrente «per assicurarsi posizioni dominanti l'una a danno dell'altra», evidenziando che ciò comunque «non scalfisce il ragionamento del tribunale, poiché i lavoratori sono soltanto una delle risorse necessarie per potenziare l'impresa, ma non meno importante è l'organizzazione necessaria e indispensabile per incrementare la propria posizione sul mercato».
Il mancato sviluppo dell'area assegnata alla lavoratrice - è il ragionamento dei giudici - è dipeso dalla «mancata predisposizione dei mezzi e dell'organizzazione indispensabili per tale obiettivo». I testimoni hanno descritto in maniera concorde le condizioni in cui hanno lavorato, condizioni «assolutamente incompatibili con il dichiarato intento di mantenere ed anzi sviluppare il settore». In altre parole, la società avrebbe "sottratto" personale specializzato al competitor per indebolirlo, non per sviluppare la propria attività.
La dipendente licenziata, come i giudici dell'appello hanno evidenziato, ha dimostrato di essersi impegnata nell'attività «tanto da realizzare un incremento del precedente fatturato della filiale». Il posto di lavoro è definitivamente salvo: la Cassazione ha dichiarato il ricorso della società inammissibile.