Urbanistica / Intervista

Questione casa e spazi dismessi, Azzali: «Confiscare gli edifici abbandonati»

Parla il presidente del collegio degli ingegneri, fra i promotori di “Sedotti e abbandonati”, un progetto di mappatura degli immobili costruiti e abbandonati a se stessi. «La nostra iniziativa mette in rilievo un problema enorme: il dilemma è costruire ex novo o demolirli? E la risposta è complicata»

PUNTO In Trentino oltre 400 ruderi, il caso degli edifici dismessi
PROGETTO "Sedotti e abbandonati" quelle ferite nelle comunità

di Fabrizio Franchi

TRENTO. Francesco Azzali è il presidente del collegio degli ingegneri, associazione legata all’Ordine, ma soprattutto è uno dei promotori di “Sedotti e abbandonati”, un progetto di mappatura degli edifici costruiti e abbandonati a se stessi. Ed è più che titolato quindi a intervenire sugli edifici collabenti, gli edifici abbandonati e fiscalmente non più produttivi. Il progetto “Sedotti e abbandonati” mappa gli edifici abbandonati.

Demolirli o costruirli?

«La nostra iniziativa mette in rilievo un problema enorme, quello degli edifici abbandonati. Non solo quelli collabenti. Il dilemma è appunto costruire ex novo o demolirli?»

E la risposta qual è?

«È complicata. Punto primo ci sono dei vincoli rigidissimi dei piani regolatori sulla destinazione d'uso. Sono stati fissati dei piani e cambiarli è lungo e non vuol dire automaticamente che si puo cambiare. Ci sono permessi da chiedere, ci sono tempi lunghi. Secondo, da un punto di vista tecnico è più difficile recuperare che costruire. Infine, terza cosa, c’è la tendenza dei Comuni che preferiscono incassare gli oneri di urbanizzazione di un edificio nuovo piuttosto che abbattere uno vecchio. Un qualsiasi Comune ha più convenienza. Personalmente credo che sia sbagliato lasciare gli edifici collabenti bisognerebbe incentivare diversamente».

Appunto, ma allora perché lo si lascia in piedi?

«Spesso recuperarlo costa, poi abbiamo il caso di proprietari plurimi che non vanno d'accordo tra di loro. Poi ci sono esigenze di mercato, magari sono in posti non più appetibili e non hanno nessun valore di mercato e vengono lasciati e poi c'è lo spopolamento dei paesi. Uno che ha la classica casa in pietra in un comune lontano, non ha un ritorno economico».

D’accordo, ma stiamo parlando di ottomila unità...

«Ma se andate nei paesi più periferici, o in alta Val di Sole, o a Trambileno: che valore hanno le case? I proprietari sono convinti di avere un valore, ma in realtà non ce l'hanno e dovremmo preoccuparci di come recuperarli urbanisticamente».

Non è una contraddizione avere migliaia di persone che cercano un alloggio e avere decine di miglia di alloggi sfitti e ottomila degradati?

«È una contraddizione. Ma ci sono affitti esorbitanti. Il problema ha varie sfaccettature. Si tende a concentrarsi sulle grandi città abbandonando i paesi. È un problema che riguarda anche i trasporti: se uno trovasse un buon servizio per venire a Trento da Trambileno o dalla Val di Sole, sarebbe positivo. Bisognerebbe avere una pianificazione, una visione nel tempo. Fino a 30 anni fa chi abitava nei paesi aveva difficoltà di accesso ai servizi, adesso con internet si può lavorare da casa, in paese non si ha nulla di meno di chi abita in città e quello che si perde a livello sociale può essere compensato dalla natura».

Bisogna cambiare il paradigma culturale?

«Certo, soprattutto. La colpa è anche dei tecnici, degli ingegneri, degli architetti, che potrebbero contribuire a risolvere questo problema. Tra l’altro dal punto di vista tecnico ora è pù semplice recuperare gli edifici. Chiaramente so che il problema è complesso».

C’è anche il tema degli edifici pubblici abbandonati...

«Certo, il Panorama a Sardagna, l'ex Atesina, le stesse Poste a Trento, le ex case popolari in san Pio Decimo, l’ex questura, gli edifici di Rovereto al Bosco della città o quelli vicini alla stazione».

Sono tanti...

«L'ente pubblico non ha molto fantasia in queste cose».

C’è da restare esterrefatti a vedere l’elenco...

«Sì, è uno scandalo. Il 21 giugno a Calliano abbiamo discusso di un edificio storico del paese, Palazzo Martini, del ’500, è collabente, in pieno centro storico. Ci sono contenziosi tra i proprietari e sta cadendo a pezzi, è tutelato, ma il Comune non è proprietario e non può fare molto. Lo dico chiaramente: ci vorrebbe un esproprio. Ci chiediamo: fino a che punto è giusto tutelare la proprietà privata? Vedere questi edifici in stato di degrado crea un disagio a tutta la comunità, si usa violenza sul cittadino che non può evitare di guardare».

Non crede che sia un sistema impazzito?

«Bisognerebbe cambiare le leggi: se il proprietario non è in grado di mantenere un edificio, bisogna intervenire. Se gli scottasse in mano, se venisse tassato. Oppure se si potesse confiscarlo... Anche l'ente pubblico dovrebbe fare in modo di dare più flessibilità ai piani regolatori».

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