Montagna / La protesta

In cammino dalle Dolomiti a Venezia per consegnare a Zaia diecimila firme contro la diga sul Vanoi

Stasera a Canal San Bovo presentazione dell'iniziativa che prevede 8 tappe, dal 30 ottobre al 6 novembre. E Mountian Wilderness deposita le osservazioni critiche: "Progetto scandaloso e offensivo, da respingere ogni ipotesi. L’agricoltura di pianura ha altri modi per affrontare le crisi idriche, mettendo in atto modelli alternativi più efficienti"

LAMON Coro di no alla diga sul Vanoi: affollata manifestazione
STOP Zaia: sulla diga i tecnici rilevano la fragilità del territorio
ROMA Salvini: nessuna richiesta di finanziamento al ministero
PD "Basta, Salvini non pensi solo di lavarsene le mani"

TRENTINO Il "dibattito pubblico" è stato un coro di no
IL FRONTE Padrin (Belluno): diga del Vanoi un errore e va fermata

TRENTO. In cammino dalle Dolomiti a Venezia per dire no al progetto di diga e maga bacino idrico sul torrente Vanoi, nell'area di confine fra le province di Trento e di Bolzano. Sale dunque di tono la mobilitazione contro l'iniziativa di un consorzio di bonifica padovano, il Brenta, che vorrebbe costruire il grande impianto a fini irrigui per le coltivazioni della pianura veneta.

Un secco no a questa intenzione è stato detto e ribadito più volte, anche con una recente manifestazione di piazza a Lamon (Belluno), sia dalle due Province interessate sia da tutti i Comuni della zona.

E domani sera, martedì 29 ottobre, alle 21, l'Ecomuseo del Vanoi a Canal San Bovo, ospiterà l'incontro "Dalla Val Cortella a Venezia, dal 30 ottobre al 6 novembre: 8 tappe per quasi 200 km seguendo i corsi d'acqua Vanoi, Cismon e Brenta".

Al termine del percorso, saranno consegnate alla Regione Veneto, guidata da Luca Zaia, le diecimila firme raccolte contro l'invaso progettato lungo la val Cortella.

Sono già 80 gli iscritti, suddivisi tra le varie tappe: seguiranno il "Cammino del Fiume di Legno" pensato e ideato nel 2018 dall'ex sindaco di Canal San Bovo e grande camminatore Angelo Orsingher assieme a Fabrizio Rattin. Nato come un cammino della comunità del Vanoi sulle tracce della fluitazione del legname, si innesta nel Cammino Germanico a Cismon del Grappa e si inserisce nel Cammino di Sant'Antonio a Padova.

Frattanto, l'associazione Mountain Wilderness Italia, presieduta dall'ambientalista trentino Luigi Casanova, fa sapere di aver presentato il 24 ottobre al consorzio del Brenta, al ministero dell’Agricoltura e al presidente della Regione Veneto le proprie osservazioni nel merito del progetto di fattibilità di una diga sul torrente Vanoi.

"Si tratta - spiega un comunicato - di un’unica osservazione distribuita su otto capoversi. Un percorso discorsivo:  storico, il metodo utilizzato, gli obiettivi perseguiti, il contesto della valle del Vanoi, il merito del progetto, le alternative, le previste compensazioni, il ruolo svolto dalle istituzioni.

Dal 1920 in poi si sono susseguiti una lunga serie di tentativi per imbrigliare le acque del torrente Vanoi, l’attenzione era rivolta alla produzione di energia idroelettrica: dal 1998 è diventato preminente l’obiettivo di fornire acqua all’agricoltura della pianura. I progetti furono tutti cassati: per motivi di grave rischio geologico e per insostenibilità economica.

La procedura seguita  conferma i metodi impositivi del passato. Si tratta di un ulteriore assalto alle risorse della montagna. Tutto è stato deciso nella sede del Consorzio del Brenta, della Regione Veneto e del Ministero dell’Agricoltura. Uno scandalo, un’offesa imposta ai cittadini e quindi agli enti locali.

Solo nel 2023 le amministrazioni comunali interessate e i cittadini hanno potuto apprendere, in modo parziale, quanto si decideva sul loro futuro, a scapito della risorsa idrica e del paesaggio. Da  allora gli enti citati hanno tentato velati tentativi di disinformazione, passaggi smascherati dal protagonismo attivo dei cittadini delle comunità locali.

Si intendeva perfino cancellare il ruolo costituzionale dell’autonomia della Provincia di Trento tanto da portare (certo in grave ritardo), il presidente della Provincia a minacciare il ricorso a vie legali per difendere diritti acquisiti in tema di pianificazione urbanistica, gestione del territorio, gestione delle acque pubbliche.

Gli obiettivi funzionali perseguiti dalla progettazione del Consorzio del Brenta sono oggi multipli: superare le ricorrenti crisi siccitose, creare una riserva idropotabile, produrre energia idroelettrica, il tema della sicurezza idraulica in caso di alluvioni, la ricreazione turistica. Obiettivi chiaramente fra loro in conflitto.

La valle del Vanoi interessata a ospitare l’eventuale invaso presenta documentati gravi rischi geologici e idrogeologici. Non illustrati nel progetto. Come del resto la valle intera offre alla comunità nazionale ambiti di elevata naturalità e di diffusa biodiversità, non documentati. Situazioni virtuose queste ultime che sono gravate dai rischi, sempre più imprevedibili, determinati dai cambiamenti climatici in atto. Oggi, per valorizzare un territorio, si deve investire nella conservazione, non certo nell’occupazione di suoli liberi e imponendo ulteriore cementificazione sulla montagna. Si devono mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, non alimentare e diffondere conseguenze negative.

Risulta anche evidente come un areale tanto ridotto (24 volte inferiore all’intero bacino del Brenta) non possa risolvere i problemi che la pianura nel corso dei decenni ha esasperato imponendo colture a elevato consumo di risorsa idrica e impoverendo sempre più le falde e le riserve idriche del territorio.

Si tenga anche presente che le risorse idriche delle vallate della montagna interessata sono in costante, preoccupante calo. La già irrisoria possibilità di contribuire ad alleviare la sete dell’agricoltura della pianura è messa ulteriormente in discussione da questa allarmante progressione negativa che interessa le alte quote.

Il progetto di fattibilità è carente di analisi. È scandaloso che tutto venga imposto in assenza di un condiviso piano di bacino del Brenta, come è scandalo non si sia sostenuto come prioritario uno studio della realtà sociale coinvolta. Si dovevano affrontare indagini di dettaglio sui temi della geologia, della morfologia, della reale capacità di afflusso idrico nel torrente Vanoi, i flussi delle acque sotterranee, valutare la situazione naturalistica e della biodiversità, quella meteo-climatico di lungo periodo, la tenuta del sistema forestale, la quantificazione delle emissioni di CO2 nella costruzione della diga e opere annesse, la storiografia delle frane e alluvioni (siamo in area di pericolo geologico massimo, P4), le conseguenze microclimatiche della eventuale presenza di un grande lago nella valle.

Il solo fatto di avere evitato questi approfondimenti porta alla cassazione di tutte e quattro le ipotesi avanzate nel progetto.

Come aggravante di tanta superficialità nell’analisi l’opzione zero è da subito evitata senza portare nel merito spiegazioni  oggettive.

A nostro avviso è invece sull’opzione zero che si deve investire in quanto la scienza ha da tempo suggerito e proposto, anche portato ad attuare, una somma di azioni che andrebbero a risolvere gran parte dei problemi sollevati dal Consorzio del Brenta. E’ necessario un diffuso investimento nelle proposte alternative, nel loro complesso molto meno costose (oltre un decimo), capaci di offrire nuove opportunità lavorative sia in montagna come nella pianura (manutenzione e gestione delle opere), investendo su tempi lunghi in lavoro intellettuale, di ricerca e in quello manuale.

A seguire i titoli delle nostre proposte:

* risparmio dei consumi di risorsa idrica nell’agricoltura, cambio drastico delle culture nella valle del Brenta;

* investimento immediato nelle politiche di risparmio del consumo dell’acqua;

* interventi nella gestione e recupero della rete idrica;

* piccoli bacini diffusi di stoccaggio delle acque;

* gestione corretta dei corsi d’acqua recuperando naturalità;

* sghiaiamento dei bacini esistenti (ben 5);

* investire nelle AFI (aree di infiltrazione forestale) già positivamente sperimentate in Veneto e studiate e sostenute da Veneto Agricoltura con dimostrati importanti risvolti positivi ecosistemici (vedasi il volume edito  dalla Fondazione Festari, 05/2024 “La ricarica artificiale degli acquiferi”);

* Investimento e gestione delle aree di esondazione;

* ricarica delle risorgive.

Sul tema delle compensazioni troviamo le proposte in progetto offensive verso i valligiani, i diritti di partecipazione e coinvolgimento delle popolazioni interessate all’opera. Non parliamo delle minimali proposte avanzate. Non si trova traccia di analisi dei reali problemi sociali che vivono le popolazioni del Primiero e del Vanoi.

Il documento di MW si chiude con una breve disanima dei comportamenti delle nostre istituzioni. A partire dalla Regione Veneto per passare alla Provincia autonoma di Trento. Il primo ente fin dal 2020 ha sostenuto la proposta del Consorzio, il secondo fin dal febbraio 2021 ha tenuto il tema secretato.

Amministrazioni che si sono accorte, o meglio allarmate della violenza che si andava a imporre ai territori, solo dopo una lunga e faticosa protesta di massa. Ribadiamo al Presidente Luca Zaia che questa proposta non va decisa in ambito tecnico, come ancora sostiene, ma solo politico. L’opera non si deve fare certo per i gravi problemi geologici presenti nel territorio interessato, ma specialmente perché andrebbe a distruggere un complesso e fragile sistema di equilibri sociali presenti sulla montagna veneta, bellunese, trentina.

Come si possano poi umiliare le attribuzioni costituzionali in tema di gestione ambientale del Trentino non è dato sapere.

A oggi tutti gli enti territoriali interessati, dalle Province (Trento e Belluno) fino ai comuni, si sono detti contrari alla realizzazione dell’opera. Sono insorti cittadini, comitati spontanei, gruppi portatori di interessi generale, associazioni di categoria, associazioni ambientaliste e alpinistiche.

Mountain Wilderness ribadisce l’assoluta contrarierà alla realizzazione di tutte quattro le ipotesi proposte: per motivi di sicurezza, ambientali, per motivi di tutela sociale, identitaria, storica delle popolazioni interessate, per motivi economici. L’associazione nel suo documento ha spiegato alternative molto più efficaci nel risolvere i problemi delle comunità della Brenta e dell’agricoltura.

Si tenga anche presente che in nessuna pianificazione, né della regione Veneto, né della provincia di Trento, è stata mai presa in considerazione la possibilità di realizzare un simile invaso artificiale, semmai si sono sostenute politiche opposte tese alla conservazione e recupero dei beni naturali e paesaggistici.

Non c’è dubbio alcuno: la proposta va rigettata in quanto insostenibile dal punto di vista sociale, economico e ambientale.

L’opzione zero, accompagnata dalle proposte alternative, è la scelta meno onerosa per la collettività, è la scelta più efficace e sicura nell’affrontare le tante criticità riportate nel progetto di fattibilità.

La montagna italiana ha sempre dimostrato di essere stata attenta alle esigenze della pianura: l’autonomia della montagna investe in solidarietà, quando la comunità residente viene rispettata. Lo dimostra una lunga storia sociale.

Accanto a questo aspetto vanno sottolineati i contenuti del nuovo Regolamento approvato dall’Unione Europea il 17 giugno 2024 “Nature Restoration Law”, entrato in vigore il 18 agosto 2024. Questo regolamento impone a tutti i paesi, entro il 2030, il ripristino del 30% degli habitat in cattive condizioni, il recupero di 25.000 chilometri di acque lasciate a libero scorrimento liberandole, laddove possibile, da arginature e specialmente da barriere. All’art. 7 si prevede il ripristino della connettività naturale dei fiumi e delle loro funzioni naturali anche nella relativa sottostante pianura alluvionale. L’esatto opposto del progetto che il Consorzio del Brenta vorrebbe imporre. Azioni e leggi che impongono da subito il ritiro del progetto.

A proposito della tragedia del Vajont scriveva Tina Merlin su L’Unità dell’11 ottobre 1963: oggi tuttavia non si può solo piangere. È tempo di imparare qualcosa”, conclude il presidente di Mountain Wilderness Italia, Luigi Casanova.

IL DOCUMENTO COMPLETO

 

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