La sentenza: retta alberghiera non dovuta per una donna con Alzheimer
Primo caso in Trentino di riconoscimento della gratuità dei costi relativi a ricovero e assistenza in rsa. Causa vinta dalla figlia di una signora curata per 11 anni in casa di riposo. La Cassazione evidenzia che per questa patologia c’è una «integrazione tra le prestazioni», ossia sanitaria e assistenziale, con le spese a carico totalmente dello Stato
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TRENTO - Per undici anni la madre, malata di Alzheimer, è stata ospitata e curata in una rsa di Trento. A carico della paziente c'era la retta alberghiera, dato che la parte relativa alla terapia e alle cure mediche spetta all'Azienda sanitaria provinciale.
Il dovuto è stato versato, ma secondo la figlia tutti i costi sarebbero dovuti rimanere a carico del servizio sanitario nazionale, ossia dell'Apss, trattandosi di «prestazioni ad elevata integrazione sanitaria».
E ha avuto ragione: dopo il parere negativo sia del Tribunale di Trento (febbraio 2019) che della Corte d'appello (marzo 2020), la Cassazione ha accolto il ricorso riconoscendo che si trattava di «prestazioni di natura sanitaria che non possono essere eseguite se non congiuntamente all'attività di natura socio-assistenziale» attraverso «un nesso di strumentalità necessaria».
Il caso tornerà davanti alla Corte d'appello di Trento in diversa composizione per determinare la somma da restituire alla figlia della signora malata. Una cifra che, tenendo conto degli undici anni di degenza, supera i 100mila euro.
La Cassazione si era già espressa in passato evidenziando che l'automatismo della retta alberghiera della rsa a carico dell'ospite (o dei familiari) è contrario alla legge in caso di malattie gravi, ma per la nostra provincia si tratta del primo caso di un riconoscimento per una persona malata di Alzheimer della gratuità della parte relativa al ricovero e all'assistenza.
La vicenda trentina.
La signora, nel 2004, quando venne accolta nella struttura gestita da Spes, era affetta da diverse patologie croniche, fra cui il morbo di Alzheimer che le cagionava problemi di orientamento e allucinazioni visive. Di qui la necessità di cure e di assistenza continuativa, a fronte anche di una successiva progressione di disturbi cognitivi e comportamentali.
Come l'avvocato Christian Gecele ha sottoposto all'attenzione dei giudici Ermellini, era stato necessario un piano terapeutico personalizzato in relazione alla patologia della signora e allo stato di prevedibile evoluzione peggiorativa della malattia: andava dunque riconosciuto il legame fra la parte sanitaria e la parte assistenziale.
Integrazione fra prestazioni.Per i magistrati della Sezione terza civile della Cassazione, la Corte d'appello di Trento ha errato nell'individuare come discrimine la «prevalenza» o meno della componente sanitaria per stabilire se le prestazioni relative alle cure fossero a carico della paziente o gratuite.
Nella sentenza si evidenzia che il criterio da applicare è quello della «integrazione tra le prestazioni, ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazioni (componente sanitaria e parte alberghiero assistenziale, ndr) che ne produce l'integrale addossamento degli oneri economici sul Servizio sanitario nazionale».
Piano personalizzato gratuito. «La decisione riconosce che certe malattie prevedono cure e assistenza connesse e che, quando un malato deve essere sottoposto alle opportune terapie e necessita di un piano personalizzato per evitare il degenerare della malattia, lo Stato se ne deve fare carico» spiegano gli avvocati Gecele e Bertò dello studio SLM - Marchionni & Associati, responsabili del dipartimento di diritto sanitario e responsabilità medica.
«In tali casi - proseguono - assistenza e sanità non possono essere scisse e, se vanno "a braccetto", anche le relative spese non sono divisibili, e quindi sono a carico di un solo soggetto, lo Stato».