Geopolitica / Intervista

Sergio Fabbrini: «I nuovi nazionalisti lavorano dall'interno contro l'Europa»

Parla il politologo che ha scritto un nuovo libro dedicato al sovranismo: «Un nocciolo duro di Stati europei vada oltre i trattati e crei una difesa comune europea. Alle élite intellettuali serve più umiltà con la gente comune»
 

di Fabrizio Franchi

TRENTO - È preoccupato Sergio Fabbrini per la situazione mondiale e europea, con le democrazie liberali sotto attacco. La sua non è una preoccupazione emotiva, ma fondata sui fatti, da studioso. Ne scrive nel suo ultimo libro che arriva sugli scaffali giovedì: «Nazionalismo 2.0. La sfida sovranista all'Europa integrata», edizioni Mondadori, 236 pagine, 18 euro. Il politologo, docente universitario, ora alla Luiss, dopo un passato a Trento e negli Usa, firma del Sole 24 ore, analizza il mutamento del nazionalismo in sovranismo.

Professore, nel libro lei sostiene che il sovranismo è un nazionalismo che non vuole uscire dall'Ue, lo giudica più morbido. Ci spieghi il contenuto.

«Ho scritto questo libro perché avevo una preoccupazione civile. È cresciuto un sentimento nazionalista in Italia che ha portato a un governo nazionalista. Siamo tornati alla legittimazione del nazionalismo, che però ha caratteristiche diverse dal passato. Il nazionalismo ha trovato la sua espressione più alta con il referendum per la Brexit nel 2016. Che però è stato un fallimento per la Gran Bretagna in termini di costi economici, sociali, culturali, politici. Ho indagato da allora la progressiva trasformazione dei nazionalisti in un movimento che vuole rimanere dentro l'Unione europea, non ne rivendica più l'uscita. È un nazionalismo diverso da quello di Farage, ma è anche diverso dal nazionalismo tradizionale. È un nazionalismo che vuole in qualche modo, e deve, fare i conti con l'Europa integrata, da qui il sovranismo. Il nazionalismo 2.0 vuole difendere le identità nazionali mettendo in discussione la dimensione liberale, ma accettando quella democratica».

Anche perché in un sistema democratico sono stati premiati.

«Non siamo di fronte ai nazionalismi del secolo scorso, loro usano tutti gli strumenti della democrazia per creare quella paura che li ha portati a diventare una forza predominante. Vedo con preoccupazione l'ascesa dei sovranisti, non accettano nulla dei nostri regimi che hanno garantito le libertà individuali. Sono contro le minoranze religiose e sessuali, contro la parità dei generi. Tutti diritti che vengono messi in discussione. Trump e Vance rifiutano la logica cosmopolita».

Potrà questo sovranismo integrarsi?

«Non ho una risposta positiva. Non ho visto atti significativi da parte di Meloni, Orban, Le Pen, Weidel. Non c'è mai una posizione positiva verso un processo di integrazione che ha chiuso mezzo secolo di guerre. Non c'è una cultura liberale. C'è un'idea etnica della nazione, che per loro non è una comunità dove ci sono diversi punti di vista. Hanno una visione del popolo come una omogeneità etnica, in società che invece sono sempre più multirazziali».

La sua preoccupazione è legata anche a quello che è successo nel passato?

«Tutte le guerre sono state prodotte dal nazionalismo etnico, nell'aggressione. Ma il sovranismo vuole restare all'interno dell'Europa per svuotarla».

E gli Usa con Trump stanno creando nuovi paradigmi.

«Sì. I singoli Stati nazionali non sono in grado di affrontare "l'American first". Oggi ad esempio dovremmo provvedere alla difesa europea comune. Il paradosso è che oggi i nazionalisti veri sono europeisti. Solo Bruxelles può fare i conti con Trump. Sui dazi se ci muoviamo singolarmente ci farà uno sconto, ma saremo vassalli».

Insomma, è pessimista?

«Come educatore io sono sempre ottimista. Oggi servirebbero leader capaci di mettere le dita negli ingranaggi. Non dobbiamo essere superficiali, ma pensare sempre alle opportunità».

Però Trump ha sovvertito ogni regola...

«Sì. Sono tra quelli che già durante la sua prima amministrazione diceva che va preso sul serio. Ma allora c'erano gli "adulti negli stanza", oggi non c'è nessuno in quella stanza. Quando dice di comperare Gaza questo ha un significato esistenziale per la Palestina e non può attaccare Zelensky. Sono Paesi che hanno conosciuto la guerra. È una minaccia senza precedenti. Ma sono già cominciate le reazioni giudiziarie. Il trumpismo è pericoloso, ma è un test per la democrazia americana. Al suo interno i bilanciamenti sono solidi, quello che mi preoccupa è il piano esterno, non ci sono sufficienti bilanciamenti. La politica dei dazi è del tutto illegale e non ci sono reazioni. L'unico modo è il salto dell'Unione europea. Che un gruppo di Stati, un nocciolo duro di Stati democratici, pensi alla difesa comune. Non potendo stare dentro i trattati è necessario che si formi una coalizione di volenterosi, che si dia un trattato autonomo, che stabilisca una forza europea, una industria della difesa. De Gasperi già nel 1952 aveva un piano, poi bocciato nel 1954, che prevedeva una forza comune europea».

Come giudica le elezioni in Germania?

«Se si forma un governo Csu-Cdu-Spd è una buona notizia. Tuttavia avere un partito che si richiama all'esperienza nazista, votato da un tedesco su 5, è un campanello d'allarme. Ma la Germania di Merz sarà diversa da quella di Scholz, che è stato una delusione. Mi auguro che Merz alzi la prospettiva, costruisca una indipendenza dagli Stati Uniti».

Però ci sono anche contraddizioni nell'estrema destra: la Le Pen che prende le distanze dall'Afd, non crede?

«Ma lei non lo ha fatto per ragioni ideali. Ha preso le distanze dall'Afd perché sa che in Francia, dove ancora pesa Vichy, non potrebbe mai diventare presidente della Repubblica se si macchia associandosi al nazismo».

Ma come è possibile che un politico rozzo come Trump sia diventato leader della destra mondiale?

«Come è stata possibile l'ascesa di uno come Hitler, in un Paese che ha avuto Kant e Hegel, ed ha assassinato 6 milioni di persone? La globalizzazione negli Usa ha avuto effetti interni maggiori di quelli previsti. La maggioranza si è impoverita. Poi c'è l'aspetto personale: a volte emergono figure carismatiche, il linguaggio di Trump, la sua amoralità, il suo dispregio per la vita degli altri. Dobbiamo chiederci per quale motivo i progressisti non sono riusciti a parlare alla gente. Come è possibile che noi élite intellettuali ci siamo chiusi, non riusciamo a parlare con la gente comune? Abbiamo bisogno di competenti, ma serve più umiltà. Ho insegnato ad Harvard e a Berkeley. C'erano persone che conoscevano cose sofisticatissime, ma non erano capaci di comunicare con le persone che incontrano sull'autobus».

[nella foto, il primo ministro della destra sovranista ungherese Viktor Orban e, nel riquadro, il professor Sergio Fabbrini]

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