Don Ciotti al Film Festival: «Egoismo e relazioni deboli sono la radice comune delle crisi etica ed ecologica»

di Alberto Piccioni

Sete di potere, egoismo, ingiustizia: sono tre delle parole che don Luigi Ciotti usa per collegare due crisi, quella ambientale e quella etica, al centro dell'incontro in programma sabato sera, 30 aprile, all'Auditorium Santa Chiara (inizio alle 21), per il secondo evento del Trento Film Festival, accanto al noto climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli.

Al fondatore del Gruppo Abele e di Libera abbiamo domandato se vanno considerate due diverse crisi o nascondono un medesimo problema.

Crisi etica e crisi ambientale hanno una comune origine?

«La radice comune è l’egoismo, la mancanza di relazioni vere con il contesto sociale e ambientale, la riduzione di queste relazioni a rapporti di sfruttamento e di possesso. L’egoismo non vede - per ignoranza o per sete di potere (ma le due cose sono collegate) - l’intreccio di cui è fatta la vita, intreccio che abbiamo la responsabilità di custodire e di nutrire. Senza la consapevolezza di questo legame profondo, costitutivo, con le persone, la Terra, gli esseri viventi - il legame rivelato dalla Genesi e cantato da San Francesco - si apre la strada alle ingiustizie sociali, alle disuguaglianze economiche, allo sfruttamento e alla distruzione dell’ambiente. «Il grido della terra è il grido dei poveri», ha scritto papa Francesco nell’enciclica Laudato sì, incentrata proprio sul tema dell’ambiente.

L’ultimo rapporto della Nasa sul clima dice che nei prossimi anni, a causa del surriscaldamento, avremo milioni di morti, soprattutto tra gli ultimi della terra, i poveri. Tali notizie però non fanno scalpore. Per il terrorismo si riempiono pagine di giornali e show televisivi».

Ci sono morti di serie A e B?

«Intanto c’è da dire che quella della Nasa è una previsione e dunque può generare un meccanismo di rimozione: “ci penseremo quando accadrà, se accadrà”. Il problema dell’informazione è però reale: ci sono notizie che non suscitano l’attenzione dovuta, anche perché non viene dato loro il giusto peso. Darglielo può aprirci infatti gli occhi su situazioni - come quella del surriscaldamento globale - di cui è in gran parte responsabile il nostro modello di vita, la nostra economia basata sul possesso e sul consumo, la nostra politica succube, salvo eccezioni, di quell’economia. E alimentare di conseguenza il desiderio e l’impegno per cambiare le cose. Ossia quello che dobbiamo fare anche non accontentandoci di un’informazione spesso superficiale, sbrigativa, se non dipendente da quegli stessi poteri che ci vogliono nascondere le cose o manipolarle. Lo stesso accade, peraltro, col tema del terrorismo. Beninteso, è necessario informare delle stragi (anche di quelle che accadono lontano da noi, però), provare sgomento per tanto orrore, sentire dolore per le vittime e i loro famigliari, ma poi bisogna anche ragionare, chiederci cos’è stato, da vent’anni a questa parte, a generare fanatismi di ogni genere, e se le misure di repressione e di sicurezza bastino a eliminare un risentimento che nasce anche da politiche di conquista che hanno sfruttato e umiliato intere parti del pianeta».

Per lei, prete di strada senza «parrocchia», può esistere un atteggiamento religioso, spirituale, senza la ricerca della giustizia?

«Per tutta la vita ho cercato - nella fedeltà al Vangelo - di saldare il cielo e la terra. Gesù ci indica il Regno di Dio, ma è il primo a muoversi di fronte alle situazioni d’ingiustizia, di abuso e di potere che trova sul suo cammino, il primo a pagarne le conseguenze. La giustizia divina ha il suo fondamento nell’impegno per costruire giustizia a partire da questa terra. Il che significa stare con i poveri e i fragili, ma al tempo stesso denunciare le cause politiche e economiche della povertà. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, pone l’accento su questa responsabilità dell’essere, oltre che credenti, credibili: “La religione non si limita all’ambito privato e non esiste solo per preparare le anime per il cielo (...) Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”».

Cosa possiamo fare concretamente, donne e uomini, semplici cittadini, per invertire la rotta del disastro ambientale?

«Ci sono accorgimenti «tecnici» che per fortuna stanno diventando costume per larghe parti della popolazione: la raccolta differenziata, la sobrietà, l’attenzione ai consumi, la lotta allo spreco alimentare e così via. Ma direi che, a monte, la cura dell’ambiente inizia dall’impegno per il bene comune. Giustizia sociale significa cura ambientale, perché il diritto di ciascuno a un’esistenza libera e dignitosa non può che esercitarsi nel rispetto della Terra, che è la nostra casa comune ma, prima ancora, la nostra comune fonte di vita».

Cose le evoca il tema della montagna, a cui è dedicato il festival di Trento? Conquista o limite? Bellezza od ostilità?

«È un tema che mi tocca nel profondo. Le montagne sono le mie radici, la mia casa - sono nato sulle Dolomiti, a Pieve di Cadore - qualcosa che mi porterò sempre dentro come un insopprimibile desiderio di bellezza e d’infinito. Ma sono anche l’immagine di un cammino spirituale che ho cercato, nei miei limiti, di percorrere: guardare al Cielo, a Dio, senza mai dimenticare le responsabilità a cui mi chiama la Terra».


«In occasione dell’incontro culturale sulla salvaguardia dell’ambiente, nel contesto della 64/esima edizione del Trento Film Festival, il Santo Padre rivolge agli organizzatori, ai relatori e ai presenti tutto il suo beneaugurante pensiero e, mentre auspica che l’evento susciti un rinnovato impegno nel riconoscere preservare la bellezza del creato dono incomparabile di Dio, assicura il suo ricordo nella preghiera e invia la benedizione apostolica», si legge nella lettera inviata dalla segreteria di Stato della Città Vaticano oggi agli organizzatori del Festival, in occasione della serata evento con don Ciotti e Mercalli.

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