Fiona May a teatro corre la «Maratona di NY»
«Quando sei lì, all’ultimo salto delle Olimpiadi, sei piena di paura. Ma che fai? Devi provarci, spingere al tuo massimo. E’ così che vivo, ancora oggi». A parlare è Fiona May, gigante dell’atletica, due volte campionessa mondiale di salto in lungo, tuttora record italiano e due argenti alle Olimpiadi di Atlanta e Sidney, oggi ai blocchi di partenza della sua «seconda vita» da attrice. «So che sono vecchia, ho 48 anni - dice ridendo - Ma anche Morgan Freeman ha iniziato a 50 anni».
Così, dopo la fiction di Rai1 «Butta la luna» e il cortometraggio «Guinea Pig» di Antonello De Leo (con in mezzo la vittoria a Ballando con le stelle), ora debutta per la prima volta in teatro, protagonista con Luisa Cattaneo di «Maratona di New York», il testo di Edoardo Erba, che il 25 agosto, in prima nazionale, apre il calendario del Todi Festival 2018 (all’Off/Off Theatre di Roma dal 26 febbraio al 3 marzo).
In scena, con la regia di Andrea Bruno Savelli, la storia di due donne, due amiche, letteralmente in corsa per tutto il tempo dello spettacolo (Erba ha appositamente rimesso mano al testo, trasformandolo, per la prima volta, al femminile).
«Mi sto allenando molto. Sfido chiunque a fare quello che facciamo noi sul palcoscenico - racconta la May all’ANSA - Correre non è un problema, ma farlo alla stessa velocità, parlando per tutto il tempo è un’altra cosa. Ma io amo le sfide, ne ho bisogno. In fondo, una gara di sport o il teatro non sono così differenti. In entrambi i casi conta solo la prima. Salti, reciti, e se va bene è andata. Altrimenti dovrai fare meglio la prossima volta. Certo, negli stadi lo fai davanti a 30-50 mila persone, è molto più impersonale. In teatro puoi quasi vedere chi è seduto in platea. Ma sono abituata a rischiare».
Per lei, il ruolo della donna alpha, leader nella corsa così come nella vita, determinata, sicura e invincibile. La Cattaneo è invece l’amica, più insicura, impaurita, fortemente legata ad un passato dal quale non riesce a separarsi. La loro corsa diventa così un percorso immaginario tra ostacoli, fatica, sudore, ricordi, memoria, tempo e spazio sospesi. «Ne è nato un racconto, anche molto divertente, di come è cambiata la femminilità. Una riflessione sulle differenze tra uomini e donne - prosegue l’attrice - Un testo che fa pensare e nel quale identificarsi».
Se con lo sport si lotta per incidere il proprio nome e il proprio volto nella storia, oggi, racconta ancora, «mi piace recitare proprio perché in scena non sono Fiona May, posso essere mille altre persone. Non è facile, come per vincere una gara, anche in palcoscenico una vittoria è 95% testa e 5% fisico. Devi metterci il cuore e se vuoi migliorare devi allenarti duramente. Ed è sempre, comunque, un lavoro di squadra dove ognuno fa la propria parte. Correre la vera Maratona di New York io? Non ci penso proprio - ride - Posso fare 6 volte 40 metri velocissima, ma 42 chilometri in una volta sola proprio no».
Ma oggi Fiona May si sente atleta o attrice?
«Mia figlia Larissa (16 anni e nuova primatista italiana nella stessa specialità della mamma) ogni tanto me lo chiede: ‘ma tu cosa fai?’ - ammette - Oggi non mi alleno più. Sono una mamma. Restano però alcune abitudini, come l’attenzione all’alimentazione, al movimento, che ho passato alle mie figlie. Ho iniziato tardi a recitare, ma so due lingue: può essere un vantaggio. Ed è possibile che in futuro mi vediate in una veste ancora diversa, più mia. La verità è che mi piace sfidarmi. Devo sentirmi viva. Certo, a volte ho paura, ma la uso come stimolo. Sulla carta d’identità? Alla voce professione metterei uno smile che fa l’occhiolino».