L’Algeria di Yasmine «fino alla fine del tempo»
L’intenso (11 i titoli) programma del 21° Religion Today Film Festival prende il via (ore 15) oggi al Teatro S. Marco con il cortometraggio israeliano Karen Or (A Ray of Light) di Lihi Sabag, storia di una ragazza madre che si cura della sua bambina affrontando ostacoli e pregiudizi che a volte sembrano insuperabili con l’intento di offrirle nella vita quanto non ha mai avuto per sè nella propria. Nel pomeriggio il lungometraggio di Salvatore Lo Piano La Croce e la Stella (un sacerdote cattolico che si confronta con la scoperta incidentale del padre presunto ebreo rinchiuso nel campo di internamento di Tarsia in Calabria tra il 1940 e il 1944) e il documentario Seaman and 207 della statunitense Sophia Tewa (una coppia di Manhattan che lascia casa e lavoro per vivere per strada).
Alle ore 20 spicca il film a soggetto Until the End of Time (fino alla fine del tempo, nella foto) di Chouikih Yasmine, un lavoro inconsueto per i suoi personaggi e per l’ambientazione nel cuore montuoso e periferico dell’Algeria. Il vecchio Alì è da sempre il custode del cimitero. Vive in un casolare diroccato in mezzo alle tombe: abbellisce i corpi prima della sepoltura, le scava e custodisce, è riferimento per i familiari (premurosi solo nei riti cerimoniali dei funerali e delle sepolture), mantiene sostanzialmente la memoria di chi ha vissuto nella comunità e che tutti cancellano almeno per molti mesi. È rispettato dagli anziani, ma irriso dai bambini (non solo) perché chi ha che fare con i morti è considerato un menagramo da evitare.
L’iman pensa a lui come proprio sostituto quando andrà in pellegrinaggio alla Mecca. Finchè giunge nel villaggio Joher, matura bizzosa e orgogliosa sorella di una defunta: è prigioniera di pregiudizi rispetto la vita della sorella, ma anche in difficoltà e confusa perché ha perso il marito e i parenti di lui l’hanno allontanata. Alì, buono e generoso, comincia frequentare la donna e le chiede di poterla sposare. Lei aspirerebbe a non vivere sola, sa che lui è buono e generoso, ma rifiuta perché un «seppellitore di morti» va allontanato, non è un uomo da sposare. Così lui si lascia convincere da un giovane intraprendente che i cimiteri (di cui tutti i parenti si dimenticano per mesi, per anni, per sempre) forse è meglio che vengano gestiti non più con compassione religiosa-umana ma con meccanismi commerciali. Sentimentale e amaro, pensoso e ironico al contempo, a tratti ripetitivo ma decisamente coinvolgente.
Gianluigi Bozza