Roberto Pedrotti, l'arte dai computer
Quando il praghese Rabbi Leib impastò l’argilla formando un «golem» e incise sulla sua fronte uno dei nomi di Dio, sperando in questo modo di difendere gli ebrei dalle prepotenze dell’imperatore Rodolfo II, non si aspettava di certo che questo enorme fantoccio avrebbe cominciato ad avere una vita propria.
Il golem, tra mito e storia delle religioni, è il primo essere artificiale precursore dei robot, un essere che - anticipando gli androidi di Philip Dick (Blade Runner) - decide di fare a meno dell’uomo. Secoli dopo, David Bowie si è divertito a creare canzoni con un co-sviluppatore, il Verbasizer, un generatore automatico di strofe. Oggi il software A-Mint crea la musica integrandola con l’improvvisazione.
L’artista trentino Roberto Pedrotti utilizza gli errori delle matrici della macchina a calcolo numerico per creare opere d’arte. In realtà le opere vengono create dalla macchina e all’artista e agli spettatori spetta soltanto il ruolo di osservatori e di contemplatori. Sono quattro esempi, dal passato al presente, che ci proiettano nel fantascientifico futuro diventato quotidianità: l’intelligenza artificiale.
L’arte sperimentale oggi non è quella nata dentro le reti di internet e sviluppata sui social, quella è già acqua passata. L’arte d’avanguardia è quella che dialoga con l’intelligenza artificiale, con strumenti che offrono nuova linfa creativa a tutti i software già esistenti.
Dal 20 al 23 novembre, a cura della Fondazione Bruno Kessler e dell’Università di Trento, si terrà la 17th International Conference of the Italian Association for Artificial Intelligence, ovvero cosa avviene nei meandri delle Università internazionali a proposito di intelligenza artificiale e dove queste strade ci condurranno in un prossimo futuro che ormai è già presente.
All’interno di questa full immersion cibernetica, spetta a Roberto Pedrotti aprire artisticamente l’evento: nelle sale della sede FBK di Via Santa Croce 77, a Trento, lunedì 19 novembre alle ore 17 verrà inaugurata una sua mostra di opere «non fatte dall’uomo, non pensate dall’uomo», ovvero lavori scaturiti dagli errori delle matrici che si materializzano all’interno di una gigantesca macchina da cui l’uomo è escluso. Lavori dal forte impatto cromatico - rosso, nero, blu -, parenti alla lontana di quell’arte astratto-concreta nata sull’utopia della Bauhaus negli anni Trenta e affinata dalle neoavanguardie degli anni Settanta per poi disperdersi in mille rivoli sotterranei e oggi riemersa con prepotenza scagliandoci addosso mille interrogativi.
Ma l’artista scomparirà? No, finché è l’uomo a immettere i dati e a impostare gli algoritmi per la macchina. Non dimentichiamo che la musica di Giorgio Moroder era fatta al 100% con software e computer, eppure ci ha fatto ballare, battere il tempo e incantati per anni. E noi, davanti alle opere di Roberto Pedrotti, ci emozioniamo, le sentiamo calde, palpitanti, piene di energia e di vita. Ci viene spontaneo scorrere le dita su queste superfici ruvide, compiacendoci di quella ruga, di quella incrostazione, che è frutto di un errore ma che la macchina, nella sua vocazione egualitaria, ha trattato al pari di tutta la sua produzione.
Poi queste opere ci ricordano tanto altri lavori non fatti da mano umana: le icone, lì dove tempo e spazio sono scomparsi, assorbiti dall’infinito.
San Luca, il primo iconografo, è stato sostituito dalla macchina ma il risultato è uguale: la nuova arte è pervasa da un’anima sacra, non riesce a dimenticare - o non può dimenticare - il proprio passato.
La mostra chiude il 30 novembre. Oltre alla Fondazione Bruno Kessler, diverse opere sono esposte nella sede dell’Università di via Sommarive 18 a Povo.