Mario Cagol stasera a Cavalese per ricordare il dramma del Cermis
Ciò che non si può dire è uno degli spettacoli che hanno inciso maggiormente sulla scena teatrale regionale lo scorso anno.
Dopo il debutto, in autunno a Villazzano, il monologo interpretato da Mario Cagol e tratto dal libro «Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis» di Pino Loperfido ha fatto il pieno ovunque e, dopo la serata di ieri al Teatro Sociale, oggi, alle 21 arriva per un evento speciale al Palafiemme di Cavalese.
Una produzione di TeatroE/EstroTeatro affidata alla regia di Mirko Corradini con le musiche originali eseguite dal vivo da Alessio Zeni e la voce registrata del giornalista Rai Massimo Mazzalai.
Con Mario Cagol facciamo un bilancio di questo monologo che si lega al 3 febbraio 1998, quando un aereo Prowler della base militare Usa di Aviano tranciò di netto i cavi della funivia del Cermis facendola precipitare nel vuoto e causando la morte delle venti persone che vi erano a bordo.
Cagol, «Ciò che non si può dire» stasera approda al Sociale: che effetto le fa?
«È un grandissimo onore. Sono già stato sul palco del Sociale nell’ambito di alcune manifestazioni ma è la prima volta per una mia esibizione da solo. È un teatro meraviglioso e rappresentarvi una storia così vera e importante sarà emozionante».
Una data dai contorni particolari sarà anche quella di domani a Cavalese.
«Al Palafiemme mi sentirò addosso una grande responsabilità: ad un giorno dall’anniversario di quella terribile tragedia, era il 3 febbraio del 1998, ricordare insieme darà un contorno ancor più emozionante alla narrazione. Provo grande rispetto per chi ha vissuto quei giorni sulla propria pelle e spero di onorare quel ricordo nel modo più giusto e delicato. La volontà di ricordare è il nostro modo per mettere l’arte del teatro al servizio della comunità e della memoria storica. Ringrazio il sindaco di Cavalese che ha condiviso l’iniziativa rendendo anche ad ingresso libero la serata».
Qual è, vista da protagonista, la chiave che ha permesso di conquistare il pubblico?
«Tutto nasce da un lavoro di squadra che ha coinvolto lo scrittore Pino Loperfido, il regista Mirko Corradini e il musicista Alessio Zeni. Avevo da tempo voglia di trasmettere emozioni diverse sul palco e questa determinazione mi ha permesso di lavorare con attenzione e cura, mettere il mio vissuto dentro ogni parola per dare la doverosa credibilità ad un testo così importante. Il pubblico si è fidato di me e gli applausi finali ad ogni replica mi hanno fatto capire di non averlo deluso: la gente ha colto la sincerità che abbiamo messo nella narrazione degli eventi. Questo porta all’intimità di un momento che apre il cuore di chi racconta e di chi ascolta. Rimane, dentro le persone che seguono con attenzione il racconto, una varietà di emozioni che, ne sono certo, porteranno dentro di sè».
Il passaggio dello spettacolo che la emoziona maggiormente?
«Sono tanti e per aspetti diversi. Alcuni perché mi fanno rivivere personali ricordi, altri perché li vivo pensando a chi ancora soffre per come sono andate le cose. Uno su tutti quando il manovratore che io interpreto viene salvato dai vigili del fuoco. Loro dall’elicottero gli chiedono: “Stai bene?” e lui risponde “Sì sto bene”: ecco, dentro questa sua risposta trovo mille intenzioni, tutte però cariche di una grandissima dignità».
Vi piacerebbe portare fuori regione questo monologo?
«Abbiamo avuto alcuni contatti in proposito e spero vengano accolti dalla produzione e fatti fiorire. Crediamo sia un racconto che va divulgato per mantenere viva la memoria, per ricordare che l’ingiustizia e il potere assoluto delle grandi potenze esiste ed è sempre esistito e per provare a far capire che dagli errori bisogna imparare. È un testo che le scuole dovrebbero proporre perché ricco di spunti per riflessioni con i giovani che al tempo del disastro non erano ancora nati».