Kezich racconta il Carnevale
L'infaticabile Giovanni Kezich continua la sua ricerca etnografica sul Carnevale e giovedì scorso ha pubblicato con l’editore Laterza il suo nuovo saggio: Carnevale. La festa del mondo.
Si tratta di un nuovo studio su una delle tradizioni italiane ed europee più antiche, nato dal progetto Carnival King of Europe, il libro del direttore del Museo, è un racconto anche a tratti divertente e pieno di curiosità, che vuole trascinare il lettore in una cavalcata attraverso i secoli.
Il libro si occupa di riti mascherati, la cui origine si perde, davvero, nella notte dei tempi.
Un rito che corrisponde al ciclico ritorno degli antenati, che all’avvio del nuovo anno si manifestano ai vivi come figure bizzarre, inquietanti, sfarzose, esagerate per portare un augurio di prosperità e di fertilità.
Cacciati dalla cittadella sacra di Natale ed epifania, questi personaggi ancestrali se ne sono andati a spasso per il calendario, trovando rifugio là dove non recavano disturbo. Così, in luoghi remoti del continente europeo e nelle date più impensate del semestre invernale, Kezich fa tornare alla ribalta gli scampanatori paurosi dei lupercali, i bianchi salterini degli ambarvali, i burleschi birboni dei saturnali.
Da rito che era, nel regime religioso cristiano la mascherata si è trasformata in farsa, in un presunto tripudio di gola e licenziosità legittimato quale necessaria antifona della successiva espiazione quaresimale. Forte di questo salvacondotto, Carnevale diviene il protagonista della cultura popolare della rinascenza europea, di cui seguirà le sorti, per prendere infine il piroscafo e andare a conquistare le grandi città della sponda orientale dell’America Latina e della Louisiana, dove avrà inizio il suo inarrestabile incedere sulla scena globale in atto ancora oggi.
Carnevale festa del mondo, dunque, secondo Kezich, perché il mondo degli uomini vi celebra fasti tutti propri, senza alcun dichiarato riferimento ultraterreno: «Non è una festa che si offre al popolo, ma è una festa che il popolo offre a se stesso», scrisse Goethe.
È dunque la festa del secolo laicale, del mondo «mondano», del mondo come è, con tutti i suoi difetti, i suoi vizi, i suoi peccati e le sue brutture, che vi risultano in effetti esagerate, senza imbarazzi. E poi, Carnevale è festa del mondo anche per la sua intrinseca qualità virale che, sull’onda potente del desiderio elementare del travestirsi, lo ha reso noto, un passo dopo l’altro, a tutto il pianeta, fino alla sua nuova dimensione globale, dove ormai lo si ritrova dappertutto: senza più una quaresima imminente, senza il nesso con un’idea di redenzione, e pure senza più inverno, perché ormai, da Rio de Janeiro a Rotterdam, Carnevale prima per obbligo - in febbraio ai tropici fa caldo - e poi per scelta lo si fa anche d’estate.
Eppure, con tutta la sua notorietà planetaria, sospeso come un acrobata tra Natale e Pasqua, cioè tra i due fari del calendario cristiano, Carnevale comunica da sempre una sua qualità funambolica e ambigua. Tutti, infatti, saprebbero raccontare che cos’è il Natale, o che cos’è la Pasqua; quando si parla di Carnevale, invece, gli stessi racconti si fanno esitanti e imprecisi, e si tingono presto dei colori ineffabili della leggenda. Questo imbarazzo, questa difficoltà a spiegare, a narrare, incomincia dalla ragion d’essere sempre piuttosto indefinita della festa e addirittura dal suo nome. Questa parola, nell’interpretazione tardomedievale si è voluta far alludere a un rito di addio solenne alle carni e al mangiare di grasso, di cui nessuno però sa niente di preciso e che anzi nessuno ha mai visto, forse per il semplice fatto che non c’è mai stato.
Giovanni Kezich, Carnevale. La festa del mondo, Roma, Editori Laterza, 2019, 232 pagine, 20 euro