Luca D'Andrea, il lato oscuro sudtirolese
Tanti si autoaccreditano, o vengono incensati - in maniera ovviamente interessata dalle loro case editrici - come «scrittori gialli», o «regine del giallo», o ancora «rivelazioni». In realtà il tempo galantuomo restituisce sempre ciò che è giusto e con il passare delle pubblicazioni ecco che emerge sempre di più il talento di Luca D’Andrea, scrittore bolzanino, la cui vena non si inaridisce, tuttaltro.
Arriva ora in libreria Il respiro del sangue, edito come i suoi primi due «gialli» da Einaudi. Un libro che conferma le sue ottime qualità di narratore, di costruttore di storie e di maestro del thriller. Dopo La sostanza del male e Lissy conferma tutto ciò che di buono si è scritto e letto di lui. Con questo terzo libro mette il sigillo: è uno dei grandi scrittori di questa regione, in un genere, quello del thriller, che può apparentemente sembrare facile per chi legge, ma che in realtà costringe l’autore a trovare sempre un punto d’equilibrio interno all’opera. Un punto che non può mai scivolare, pena il fare diventare il testo banale, o scontato, o sciatto. Invece D’Andrea ha la maestria nella penna che gli permette di tenere sempre la pagina tesa, come la corda di uno strumento che non deve mai stonare.
Il suo primo romanzo fu La sostanza del male, che non era poi un vero esordio per lui, ma lo era nella letteratura e - perché no - nel mercato che conta, dopo aver venduto ovunque, grazie alle traduzioni in quaranta lingue diverse in tutto il mondo. E oggi a pieno diritto è una pietra miliare da cui non si può prescindere. E chi leggerà questo «Il respiro del sangue», se non ha ancora letto gli altri due, sicuramente si precipiterà a farlo.
Anche stavolta D’Andrea ambienta il suo romanzo in Alto Adige, correndo tra la città e le montagne, inventando nomi e situazioni, ma la realtà è quella di una terra che conosce bene e su cui contribuisce a farci vedere anche le ombre, non soltanto l’Alto Adige - o Südtirol - da cartolina, con i balconi fioriti e le mucche che brucano. Ne esce sempre un lato oscuro, perché in definitiva a ogni latitudine è sempre l’Umano che conserva una parte in ombra, da illuminare. E non sempre ne esce una sostanza piacevole. Non si pensi che D’Andrea sia uno scrittore «maledetto» o che si atteggi a tale posa, anzi. È persona solare ed empatica, ma sa andare a fondo in quello che spesso non amiamo vedere.
D’Andrea ricostruisce una storia, come è solito fare, che affonda le sue radici nel passato e che richiama l’atmosfera di quel quartiere che a Bolzano veniva identificato una volta come «Shangai» e in cui D’Andrea ha passato una parte della sua vita. Proprio come il protagonista “Tony Carcano”, che nel libro è scrittore come lui, ma a parte questo c’è poco d’altro di autobiografico. La pagine avvincono subito. Le scene d’azione rapiscono e tengono con il fiato sospeso, costringendo però al tempo stesso il lettore a seguire la vicenda. Diciamo che fino all’ultima pagina, fino all’ultima riga non ci si ferma, perché altrimenti si resterebbe monchi, senza conclusione. Ma, senza voler svelare nulla, non è detto che la conclusione piaccia, perché in fin dei conti il genere thriller permette a Luca D’Andrea di non creare comodi finali lieti o dolciastri. Resta l’inquietudine. Come è giusto che sia per un ottimo libro giallo, che se letto di notte deve lasciarvi un sentimento di paura.
D’Andrea presenterà il suo romanzo oggi alle 18.30 alla scuola Ilaria Alpi di Bolzano, in via Cassa di risparmio.
Luca D’Andrea, Il respiro del sangue, Einaudi, 388 pagine, 19 euro