Pergine Festival chiude stasera con "Calcinculo" di Babilonia Teatri
«Abbiamo smesso di andare a votare, ma chiediamo che i diritti e i doveri dei nostri cani, gatti, canarini e tartarughe e criceti e conigli e porcellini d’india e pesci rossi siano sanciti dalla legge e che il tribunale si occupi della loro dignità e del rispetto nei loro confronti. Abbiamo deciso che è arcaico esprimere un’opinione all’interno di una collettività negli ambiti che ci competono, ma commentiamo qualunque notizia schermati da uno schermo».
Con queste parole viene presentato Calcinculo di Babilonia Teatri, una delle realtà più interessanti del panorama teatrale italiano, due volte vincitrice del Premio Ubu (2009 e 2011) e di un Leone d’argento per l’innovazione teatrale alla Biennale di Venezia (2016). La 44ª edizione di Pergine Festival si chiuderà stasera con questo lavoro (ore 20.30, Teatro Comunale), firmato da Enrico Castellani e Valeria Raimondi (entrambi in scena) e raccontato in questa nostra intervista.
Enrico Castellani, quanto c’è in Calcinculo della giostra e quanto invece della metafora?
«Direi un 50 e 50. Ci piaceva il gioco di parole suggerito dal termine, che da un lato rimanda alla giostra di paese - e infatti in scena sono presenti coda e seggiolino e a un certo punto io stesso scendo in platea a lanciare dei gettoni che servono per poter fare una corsa - dall’altro ci fa pensare ai “calci in culo” che sentiamo di ricevere, tutti, in questi giorni».
L’idea alle base dello spettacolo è quella di offrire un affresco, una fotografia del nostro presente. Quali sono, in particolare, i vostri bersagli polemici?
«Cerchiamo di raccontare le contraddizioni dell’oggi, di un presente che non permette di avere certezze, ma soprattutto nega la possibilità di disegnare, di sognare un futuro. Ed è questo che spinge gli uomini a cercare qualcuno che ce le dia queste certezze e che con il pretesto di assicurarci sicurezza, non fa che ergere muri. È un presente senza ideali, nel quale la depressione diventa la nostra compagna di strada, insieme alle nostre paure».
Un presente che non permette di immaginare un futuro, tendere verso un ideale. Quali mezzi ha l’arte e in particolare il teatro (se li possiede) per contrastare questo stato di cose?
«Per noi il teatro non deve stare chiuso in una torre d’avorio: ha il compito di occuparsi del presente, di fotografare il proprio tempo e di metterlo di fronte agli occhi di tutti per tornare ad abitarlo. Può contribuire a creare una comunità che si incontra, intreccia legami e ha la forza di interrogarsi. E negli ultimi tempi vedo molte compagnie percorrere questa strada».
Un elemento fondamentale, in questo vostro lavoro, è dato dalla musica. Come si mescola agli altri linguaggi e qual è qui la sua funzione?
«La musica nei nostri lavori non svolge mai una funzione di commento, ma è una fondamentale parte drammaturgica che dialoga con testi e immagini. In “Calcinculo” abbiamo scritto delle canzoni (le musiche sono a cura di Lorenzo Scuda, ndr) eseguite dal vivo sul palcoscenico. Riteniamo questo un linguaggio che ha sempre parlato a un vasto pubblico, soprattutto alle giovani generazioni ed è quello che anche noi intendiamo fare: cercare un dialogo, entrare in relazione, stabilire un contatto anche con chi abitualmente non frequenta i teatri».