Pedro Almodovar ha 70 anni il grande regista trasgressore che emoziona ancora il mondo
Quanto tempo è passato da quando l'impronta di Pedro Almodovar ha marcato per la prima volta il cinema spagnolo, lo ha travolto come un tornado, ne ha fatto un punto di riferimento mondiale di vitale trasgressione e novità culturale? Il primo segno, un lampo luminoso colto subito dagli appassionati e dai festival internazionali, risale al 1980 con l'autobiografico, graffiante, ironico "Pepi, Luci, Bon y otra chicas del monton". Allora il provinciale Pedro Almodovar Caballero, nato il 25 settembre 1949 a Calatrava nella Mancha, viveva a Madrid, si è diplomato alla Scuola di Cinema, ma si guadagna da vivere alla Società Telefonica, si mette alla prova in un gruppo teatrale, scrive racconti e fumetti.
Il successo inaspettato e imprevedibile del suo esordio gli punta addosso i riflettori della notorietà nonostante lo stile sperimentale e volutamente fumettistico della pellicola. Da un lato fissa i punti fondamentali del suo cinema migliore (autobiografismo, libertà stilistica, gusto pop e colorato dell'immagine), dall'altro mette in luce una compagnia d'attori e tecnici che diventeranno la sua famiglia e si riuniranno a intervalli regolari sotto le insegne della compagnia di produzione che fonda insieme al fratello minore Agustin, un chimico poi arruolato a vita nell'universo cinematografico di Pedro. Grazie al successo internazionale passano appena due anni e il "marchio Almodovar" si conferma con "Labirinto di passioni" presentato tra molte polemiche alla Mostra di Venezia l'anno dopo. Alle ormai fedelissime Carmen Maura e Cecilia Roth si aggiungono adesso Imanol Arias (al tempo astro emergente) e il giovanissimo Antonio Banderas che del regista diventerà l'alter ego come di illustra perfettamente nel recente "Dolor y Gloria".
E poi sarà la volta di Marisa Paredes, Rossy de Palma, Maria Barranco: un autentico gineceo che è indizio di complicità, sintonia e desiderio di fotografare l'animo femminile da parte di un uomo che non ha mai fatto mistero della sua omosessualità vissuta in piena vista. Il cinema di Almodovar nei primi anni '80 è il simbolo della rinascita spagnola dopo il lungo oscurantismo dell'epoca del caudillo Franco. Nel giovane regista vivono gli echi anarchici del surrealista Bunuel e il fiero spirito libertario di Carlos Saura; ma ci sono anche i fantasmi di Fellini, l'irridente scandalo di Bigas Luna, la vivacità della macchina da presa imparata sui testi della Nouvelle Vague e l'originalità espressiva con cui Fassbinder aveva sdoganato il difficile tema dell'omosessualità sullo schermo. Eppure perché tutti questi elementi si fondano in una perfetta armonia cui corrisponde il grande successo di massa bisogna attendere il 1988 con il boom di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi", trionfatore ai Goya (il David di Donatello spagnolo), candidato all'Oscar, presentato in concorso a quella Mostra di Venezia che quest'anno gli ha consegnato il Leone d'oro alla carriera.
Dodici anni dopo con l'emozionante e intimo "Tutto su mia madre" Almodovar conquisterà anche i perbenisti votanti dell'Oscar e si porterà a casa la statuetta per il miglior film straniero. Con 22 lungometraggi alle spalle (cui vanno aggiunti i numerosi corti degli anni '70), Don Pedro è ormai un'istituzione: ha attraversato tutti i linguaggi e gli stili del cinema, eccellendo nella commedia, nel melodramma (il suo genere preferito), ma con scorribande anche attraverso i generi come il noir e l'erotico. Con "Dolor y Gloria" ha regalato al suo pubblico una sorta di bilancio di vita a cuore aperto, mettendo in scena il suo alter ego "felliniano" (Antonio Banderas) nel ruolo di un regista alle prese con la crisi della mezza età e i molti pentimenti per la sua vita personale. Con gli anni la provocazione si è fatta meditazione, l'ironia si è mutata in compassione per le debolezze del corpo e della mente, l'autobiografia è diventata linguaggio. Ma lo stile - sezionato dai critici e diviso meticolosamente in periodi diversi della sua opera - è rimasto intatto: un marchio di fabbrica che si coglie in ogni inquadratura, in ogni espressione, in ogni cromatismo da una pellicola all'altra. Forse il suo 70/o compleanno è oggi venato da una nota di mestizia; ma nulla può togliere a noi spettatori il gusto aspro della vita che Pedro Almodovar ha saputo regalarci. Due generazioni di spettatori gli devono un brindisi augurale per questo dono inimitabile.