Omar Pedrini domenica a Trento ripropone «Viaggio senza vento»
A ventisei anni dalla sua uscita, «Viaggio senza vento» è considerato come uno degli album che hanno cambiato le sorti del rock italiano.
Un lavoro che ha segnato il percorso dei Timoria, la band bresciana guidata da Omar Pedrini e Francesco Renga, e che quest’anno Pedrini ha voluto riproporre nella dimensione live. Fra le tappe del fortunato tour del cantante e chitarrista c’è quella di domenica prossima a Trento, alle 21, per l’evento finale dell’Oktoberfest.
Pedrini, perché riportare live «Viaggio senza vento»?
«È scaturito tutto lo scorso dicembre con l’uscita della nuova edizione di quell’album per celebrarne il venticinquennale. Nei mesi precedenti la Universal mi aveva incaricato di ascoltare i vecchi nastri per fare anche un secondo cd con inediti e rarità. In quel materiale ho trovato una cover degli Who e “Angel”, un brano che avevo dedicato a Kurt Cobain nel giorno della sua morte. Una canzone che non ci stava nella storia di “Viaggio senza vento” e che ho recuperato dal limbo proprio in occasione del venticinquennale della scomparsa del cantante dei Nirvana. Il successo di questa operazione ha stupito anche me considerando che la nuova versione del disco è arrivata al quarto posto in classifica».
La gente evidentemente non si è dimenticata di voi.
«Direi di no: preso dall’entusiasmo, ho accarezzato l’idea di provare a riunire la band, un tentativo che in passato non avevo mai voluto fare, però stavolta mi sembrava davvero il momento giusto. Purtroppo l’operazione non è riuscita: ci siamo trovati ma Francesco Renga ci ha fatto sapere di avere un progetto grosso in ballo. Si trattava, lo abbiamo scoperto dopo, del Festival di Sanremo ma, questa è una mia osservazione affettuosa, avrebbe fatto meglio a non andarci. Ho deciso così di intraprendere questa avventura con la mia band».
Ai tempi, per «Viaggio senza vento» si parlò di rock progressivo.
«Questo concept album racconta una storia unica e quindi non è fatto da canzoni singole. Senza dubbio ha un’anima prog nel suo concepimento perché abbiamo lavorato con Eugenio Finardi e Mauro Pagani, due volti del prog italiano degli anni ‘70 che io amo tantissimo. Ci sono quattro pezzi legati a questo genere nello stile con tanto di assoli di flauto ma ci sono anche brani hard rock, funky e crossover, ci sono tanti ingredienti sonori».
Qual è la sua forza oggi?
«È un lavoro simbolico per la musica di un decennio di passaggio come gli anni ‘90, capace anche oggi di mantenere la sua freschezza e di essere apprezzato pure dai ragazzi del terzo millennio. Poi è cantato in italiano ed allora nel rock non erano in molti a farlo perché preferivano l’inglese».
Qual è il filo conduttore?
«I testi parlano tutti della stessa persona come se fosse un film o un’opera teatrale. La storia è quella di Joe, sorta di mio alter-ego, un ragazzo con problemi di droga che finisce in carcere. Poi però reagisce, fugge dal carcere, va in Oriente dove trova l’amore, la spiritualità che gli mancava e quindi torna in Italia sotto forma di guerriero. È un po’ la trasformazione di un ragazzo perdente che rinasce guerriero dopo un viaggio, un lavoro su se stesso».
Ci sarà spazio per altro nel concerto di Trento?
«Solo “Viaggio senza vento” dura un’ora e quaranta ma nei bis, che per me sono una zona franca a seconda dell’umore, ci sarà spazio per qualche altro brano dei Timoria e del mio repertorio».