«Il diritto di opporsi» al razzismo
Non bisogna scomodare classici come «Il buio oltre la siepe» o «La calda notte dell’Ispettore Tibbs». Ma Il diritto di opporsi sicuramente ricalca quell’esplosiva miscela che unisce legal thriller, diritti civili e razzismo.
Il film, diretto da Destin Daniel Cretton e distribuito da Warner Bros Italia dal 30 gennaio, in più racconta una storia vera, quella dell’avvocato Bryan Stevenson, un uomo diventato famoso negli States per le sue battaglie legali e il suo coraggio. Stevenson (Michael B. Jordan), ora sessantenne, è un avvocato americano, attivista per la giustizia sociale e fondatore/direttore esecutivo della Equal Justice Initiative e professore clinico presso la New York University School of Law. Un avvocato che fin da subito sceglie di impiegare la sua professione per lottare contro le ingiustizie e così, dopo la laurea ad Harvard, decide di rinunciare a una professione remunerativa per intraprendere, al contrario, una strada più difficile e meno battuta.
Si ritrova così nella difficile piazza dell’Alabama, dove lavora fianco a fianco con la collega Eva Ansley (Brie Larson) per difendere ogni ingiustizia a sfondo razziale. Il primo caso che il giovane avvocato deve affrontare è un omicidio: una diciottenne è stata uccisa e l’unico sospettato, Walter McMillian (Jamie Foxx), è stato accusato e condannato a morte.
Ci sono molte prove a suo favore, ma basta la testimonianza di un criminale, con tanto di movente per mentire, a incastrarlo. Walter rischia la morte e il motivo è probabilmente legato più al colore della sua pelle che a un reale coinvolgimento nell’omicidio. Questo è il caso perfetto per Bryan, che cercherà di scagionare l’uomo, mentre il sistema gli rema contro e il razzismo nel frattempo esce fuori in modo sempre più chiaro.
Il film, tratto dal pluripremiato romanzo best-seller autobiografico di Bryan Stevenson, «Just Mercy», è stato girato quasi interamente nei pressi di Atlanta, in Georgia, con alcune scene anche a Montgomery, in Alabama. Frase cult del film quella che dice a un certo punto lo stesso Bryan Stevenson: «Quando prendi un nero e lo metti nel braccio della morte un anno prima del processo, quando ogni prova della sua innocenza viene occultata e chiunque cerchi di dire la verità viene minacciato, non è un processo...non è giustizia!»