I 60 anni di Antonio Banderas: «Positivo al Coronavirus»
Ha compiuto ieri 60 anni Josè Antonio Domínguez Bandera, conosciuto in tutto il mondo come Antonio Banderas.
"Sono positivo al coronavirus": lo annuncia Antonio Banderas sui suoi profili social nel giorno in cui ha compiuto 60 anni, postando accanto al messaggio una foto che lo ritrae bambino. "Approfitterò dell'isolamento - scrive l'attore spagnolo - per leggere, scrivere, riposarmi e continuare a fare progetti per iniziare a dare un senso ai miei 60 anni appena compiuti".
"Voglio annunciare che oggi, 10 agosto, sono costretto a festeggiare il mio 60/o compleanno osservando la quarantena, essendo risultato positivo alla malattia Covid-19, causata dal coronavirus", scrive Banderas. "Vorrei aggiungere che mi sento relativamente bene, solo un po' più stanco del solito e fiducioso che mi riprenderò al più presto seguendo le indicazioni mediche - sottolinea - che spero mi permetteranno di superare il processo infettivo di cui soffro e che sta colpendo tante persone in tutto il pianeta". "Un grande abbraccio a tutti", conclude salutando i fan.
Nato a Malaga, da qui è partito a 19 anni con in tasca il diploma della scuola d'arte drammatica e la delusione per una mancata carriera da calciatore nel club cittadino a causa di una frattura al piede.
La sorte gli fa incontrare un fratello maggiore d'elezione, Pedro Almodovar: tra i due la corrispondenza artistica è immediata e nel 1982 sono insieme sul set di "Labirinto di passioni". Le collaborazioni con il regista sono per ora sette (più un cameo) e scandiscono la sua carriera: c'era in "Matador" e ne "La legge del desiderio", si è conquistato l'attenzione internazionale con "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" (1988) e dopo "Legami" dell'anno successivo ha lasciato l'Europa per l'America grazie all'immagine che il suo pigmalione gli aveva cucito addosso: un mix di testosterone, gentilezza, forza ironica e istrionismo controllato. Ma nel 2011 da Almodovar è tornato ("La piel che habito") per ricostruire un legame con le sue radici e otto anni dopo - facendosi "doppio" del suo maestro davanti alla cinepresa - ha conquistato con "Dolor y Gloria" prima la Palma d'oro a Cannes e poi la nomination all'Oscar (una primizia nel suo palmarès).
Nel frattempo era diventato una promessa e poi un "valore sicuro" del cinema d'evasione di stampo hollywoodiano. Ha lavorato con i grandi come Jonathan Demme (l'applaudito "Philadephia" ancora nei panni di un gay), Neil Jordan ("Intervista col vampiro"), Alan Parker ("Evita"), De Palma ("Femme fatale"), perfino Woody Allen ("Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni"), ha stretto un'amicizia di ferro con Robert Rodriguez da "Desperado" a "Spy Kids", ha attraversato tutti i generi (pur con la nostalgia di aver fatto più action che comedy), ma è con "La maschera di Zorro" (1998) di Martin Campbell che è diventato una vera star.