"Non facciamo morire la cultura": l'appello ad una ripartenza e ad una presenza federata, di sei intellettuali trentini
La cultura è una parte vitale della vita sociale: è impresa, è intrattenimento, è espressione della civiltà. Questo appello di intellettuali trentini vuole porre una riflessione sul periodo di pandemia, affinché si costituisca una federazione della cultura trentina. E’ firmato da Giuseppe Calliari, Antonio Cossu, Sandro Filippi, Alberto Folgheraiter, Renzo Fracalossi, Marina Giovannini.
È un’erosione carsica di vite, ricordi e narrazioni, quella che ci sta impoverendo e che rende sempre più friabile la trama del nostro tessuto sociale, messo a dura prova dal dilagare pandemico.
Numeri freddi elencano, ogni giorno, assenze improvvise che travolgono, nel loro disordinato e tragico dilatarsi, i ritratti di ciò che questa terra è stata fino ad oggi e di ciò che rischia di non tornare ad essere più. Ci ritroviamo sempre più soli e smarriti, alla ricerca di segni funzionali a restituirci profili di identità comuni, attraverso i quali riconnetterci con il fluire del tempo e ritrovare il nostro posto nel nuovo ordine delle cose che si va disegnando.
Consapevoli di rischiare, anche per una certa impotenza che preoccupa, un processo di trasformazione progressiva di una comunità coesa, in una massa di anonimi sconosciuti e di egoismi sopravanzanti, registriamo il liquefarsi di quel collante solidaristico sul quale abbiamo costruito le esistenze singole e collettive, ma anche la nostra specialità autonomistica, proprio perché paiono venir meno quelle galassie del volontariato culturale che, fin qui, hanno custodito, prima di ogni altra cosa, quei valori della reciprocità sui quali si è fondata l’identità collettiva nostra e in genere dei popoli della montagna.
Si tratta di uno smottamento pericoloso e che impone, non tanto occasionali scelte emergenziali, quanto piuttosto un disegno capace di rifondare valori e di offrire nuovi orizzonti al futuro e quindi di riattivare la comunità nelle sue plurali espressioni. In questo senso, se alla politica spetta il gravoso dovere dell’immaginazione e della prospettiva, agli attori sociali e culturali del territorio rimane l’obbligo di riannodare fili spezzati; di forgiare e rilanciare nuovi entusiasmi; di ricostruire sulla memoria; di progettare e di agire e di investire, oggi più che mai, sulle intelligenze che ovunque albergano fra queste valli.
In altre parole, noi riteniamo essenziale il ruolo della cultura in tutte le sue declinazioni e, al contempo, reputiamo necessario proporre un patto sociale che abbia per obiettivo non tanto un restauro “tout court” del passato, quanto la definizione di linguaggi nuovi, ma non disgiunti dalla tradizione e dalla storia di questa terra ed in tale direzione dovrebbero muoversi, prima di ogni altro soggetto, quei mondi federativi ed associativi culturali, finanziati dall’ente pubblico, che per troppo tempo si sono limitati a gestire funzioni corporative o a riciclare il “già visto”, senza mai farsi promotori di un più vasto – ed oggi indifferibile – progetto di rinnovamento e di promozione, anche attraverso scelte coraggiose e mirate alla qualità, unico vero discrimine culturale.
Noi crediamo che i prossimi mesi ed anni chiameranno all’imperativo morale della ricostruzione ed è con questa consapevolezza che oggi interpelliamo la politica e la società trentine per verificare se esiste una volontà vera di ripresa; un coraggio nuovo sulle scelte; una volontà comune di cercare nuove forme di aggregazione, anche interagendo con più soggetti e più veicoli comunicativi, fra i quali spicca senza dubbio il mezzo televisivo, la cui capacità di penetrazione è ancora la più diffusa e totale.
Mostre d’arte guidate; prove di concerto in diretta; narrazioni in forma di recital; prove di coro per singole voci e poi assemblate sono solo alcuni, magari insufficienti, esempi di come si potrebbero muovere i primi passi in direzione di una ripresa delle attività del volontariato culturale, prima che il forzato isolamento individuale ne sfaldi ogni possibilità di resistere ancora.
È urgente insomma pensare alla ripartenza, alla ricostruzione, alla rifondazione del tessuto associativo, per rimettere in moto quella dimensione emotiva, culturale e sociale che ne costituisce il motore primo.
Certamente le paure che in molti albergano, al solo pensiero di riprendere le attività associative, permarranno fino alla certificata sconfitta della pandemia, ma proprio per questo va pensato oggi il modello da offrire domani, secondo una cultura della programmazione che non può esaurirsi nelle consuete liste dei bisogni immediati e nella consapevolezza che l’individuo è, per sua natura, un animale sociale destinato a fare comunità, sempre e comunque.
Su questi temi si regge oggi la grande sfida della rete federativa che deve adesso dar prova di sé, individuando soluzioni di rilancio dei vari mondi e non temporeggiando nella vana attesa di qualche salvifica soluzione estemporanea, ma anche coagulando tutte le risorse e le intelligenze disponibili perché la battaglia non è di pochi ma di tutti.