Rocco Papaleo: con Gogol per raccontare i mali della burocrazia e del potere
Intervista con il noto attore che fino a domenica va in scena al "Sociale" di Trento con "L'ispettore generale", sul filo della critica politica. “Il potere non si è mai rinnovato e nelle stanze dei bottoni continua la prevaricazione, l’idea clientelare della politica che come primo obiettivo si pone quello di ottenere il consenso è valida allora come oggi, anche se nella nostra società c’è più controllo e quindi il potere si è dovuto evolvere e diventare più subdolo per perpetuare l’inganno”
TRENTO. Uno dei più grandi capolavori della drammaturgia russa, scritto nel 1836, ma tragicamente più attuale di quanto si possa immaginare. Stiamo parlando de “L’ispettore generale” che rivive oggi grazie alla regia di Leo Muscato e che ha fra i suoi protagonisti anche l’attore e regista Rocco Papaleo per una produzione del teatro Stabile di Bolzano, teatro Stabile di Torino-teatro Nazionale e Tsv – teatro Nazionale.
“L’ispettore generale” sarà in scena al teatro Sociale da oggi, venerdì 10 novembre, alle 20.30, sabato 11 alle 18 e domenica 12 alla 16. Di questa commedia satirica che si prende gioco delle piccolezze morali di chi detiene un potere e si ritiene intoccabile abbiamo parlato con l’artista pugliese.
Rocco Papaleo, come è stato coinvolto in questa nuova versione de “L’ispettore generale” diretta da Leo Muscato?
“In un modo piuttosto canonico, ho un buon rapporto con Walter Zambaldi direttore dello Stabile, dove ho già fatto un lavoro l’anno scorso con Fausto Paravidino, ci siamo trovati bene e abbiamo prolungato la nostra relazione. La proposta che mi ha fatto lui insieme a Muscato era interessante e mi è piaciuto sottolineare l’importanza della cultura russa in un periodo in cui la Russia non è molto simpatica ma la sua cultura non va ostracizzata. Io sono molto appassionato di quell’umore, di quella ironia e mi è sembrata un’occasione imperdibile poter lavorare sulla drammaturgia russa”.
Appunto un autore russo in un momento in cui anche la grande cultura russa è nel mirino di molti a causa delle barbarie di Putin in Ucraina.
“Mi ha stupito quanto successo quando c’è stata l’invasione russa, e mi è sembrata stupida la caccia alle streghe che si è scatenata. Io credo che proprio la cultura di un popolo fa sì che sia più possibile comprenderlo. Gogol è un russo che fa una satira pesantissima durante lo zarismo, un periodo forse ancora più difficile rispetto a oggi. La cultura è la parte buona di una nazione e può servire per distendere gli animi e trovare una comprensione tra i popoli grazie allo scambio culturale, in quella linea lì andiamo tutti d’accordo più o meno. La politica però muove anche queste cose e forse è un segnale che si voleva dare ma secondo me è sbagliato”.
Come si è avvicinato a questo capolavoro della drammaturgia russa scritto da Nikolaj Gogol?
“Con il mio metodo che consiste nel non avere metodo, scusa se scherzo ma nemmeno troppo, ogni volta cerco di relazionarmi a quello che succede: all’idea del regista, ai compagni in scena che non conoscevo tranne Marta Dalla Via. Questa novità mi eccita, lavorare con persone nuove rende nuovo anche me perché la chimica e le suggestioni che si creano sono diverse e non ti fanno cadere nella routine e alla mia età dopo tante cose fatte è importante”.
Quali sfumature ha dato al suo personaggio?
“Lui è autoritario, forte coi deboli ma vigliacco e pauroso coi forti, un po’ lontano dal mio modo di essere. La mia modalità di recitare parte da me stesso perché credo che dentro di noi ci siano tutti i componenti, bisogna solo esplicitarli grazie alla ricerca interiore. Resto sempre aderente alle mie sfaccettature e anche questa volta ho cercato di trovare la sfaccettatura da esplicitare per poter rendere al meglio questo personaggio. Non sono un attore completamente trasformista ma ammiro molto i colleghi che lo sono”.
Gogol ha nel mirino la burocrazia zarista, si prende gioco delle piccolezze morali di chi detiene un potere e si ritiene intoccabile: quanto è attuale questa commedia satirica oggi?
“Il potere non si è mai rinnovato e nelle stanze dei bottoni continua la prevaricazione, l’idea clientelare della politica che come primo obiettivo si pone quello di ottenere il consenso è valida allora come oggi, anche se nella nostra società c’è più controllo e quindi il potere si è dovuto evolvere e diventare più subdolo per perpetuare l’inganno. Due secoli fa era più facile ingannare, tant’è che nella pièce si può scambiare un fannullone per l’ispettore, oggi non potrebbe succedere ma ciò non toglie che quell’esperienza drammaturgica di due secoli fa resta valida, cioè che i potenti manovrano quasi sempre contro l’interesse del popolo”.