Storia di Guido Parteli, il "sovversivo di Sfruz" che indossò nove divise: lo spettacolo a Rovereto
Soldato austroungarico, prigioniero dei Russi ma volontario in Siberia, poi inviato in Estremo Oriente, repubblicano nella Guerra di Spagna, prigioniero dei Francesi, confinato dai fascisti, deportato a Dachau
ROVERETO. Dicono che la realtà spesso superi la fantasia. Soprattutto nel male. E fantastica non è la storia dolorosa di un uomo qualunque, di un paese qualunque che riesce ad incarnare in una vita tutto il male possibile accaduto nel Novecentro. Guido Parteli, contadino-operaio di Sfruz (Val di Non), è il protagonista di questa tragedia. Dalla sua vita, scoperta alcuni anni fa, è nato lo spettacolo «Guido Parteli, il sovversivo di Sfruz» dedicato al 25 Aprile che andrà in scena domani sera – mercoledì 24 aprile – alle 20,30 al teatro Zandonai di Rovereto. La regia è di Michele Comite, il testo e la sceneggiatura di Diego Leoni e Sergio Baldo.
Lo spettacolo racconta la vita semplice di Parteli che lo portò a muoversi dentro le tragedia storiche. «Ha lasciato indelebile traccia - dicono Leoni e Baldo - di sé negli archivi di quel potere che lo spiava e registrava con accanimento e metodicità al solo scopo di cancellarlo e, quando fosse stato il momento, di annientarlo (persino l'unica sua fotografia rintracciata è quella segnaletica, che una mano pietosa e accorta ha posto di recente sulla tomba del fratello Dario a Sfruz)».
Appena adulto, Parteli fu arruolato nell'esercito austro-ungarico: era il 1914, era la sua prima divisa, con essa combatté contro il nemico russo sui campi di Galizia. In seguito, ne vestì altre otto di divise: da prigioniero dei russi, da volontario nel Battaglione Savoia in Siberia, da soldato italiano nel Corpo di spedizione in Estremo oriente, da combattente repubblicano in Spagna, da prigioniero nei campi francesi, da confinato a Ventotene, da internato a Bolzano, da deportato a Dachau.
Tra l'una e l'altra, Parteli ha vissuto ben poco in abiti civili: un paio d'anni in paese una volta tornato dall'Oriente, qualche altro anno in emigrazione tra Francia e Lussemburgo, pochi mesi dalla caduta del fascismo alla deportazione.
Ecco, nelle sue nove divise e in quel terribile e beffardo paradosso archivistico è racchiuso tutto il male del secolo scorso. «Finita la guerra, aperti i campi, ripristinata la democrazia, di Parteli, così come di tutti gli "uomini oscuri e infami" come lui - si legge nella presentazione dello spettacolo - nessuno e nulla si ricordarono e parlarono, scomparsi dalla memoria pubblica (anche di valle, anche di paese, anche di famiglia talvolta), oscurati nel ricordo istituzionale, espulsi dal futuro, finanche espunti dal racconto resistenziale: nell'agosto 1945, Francesco Dessimoni, il padre di Mansueto, volontario in Spagna come Parteli e poi, come lui, deportato e finito in cenere in Germania, chiese alla Commissione provinciale patrioti che venisse riconosciuto il contributo del figlio alla causa di Liberazione, qualche soldo almeno in cambio della sua vita. La risposta fu sollecita, richiese solo otto giorni, ma fu negativa e senza appello, perché la sua vicenda - vi si legge - «non ha nessuna attinenza con i partigiani».
Così, con quella pratica si archiviò anche il ricordo, di lui e degli altri, che cominciò a riaffiorare solo molto più tardi, all'aprirsi del nuovo secolo, quando le mani pazienti e pietose e testarde dei ricercatori del Laboratorio di storia di Rovereto hanno cominciato a ricomporlo: vita per vita, volto per volto, oggetto per oggetto, foto per foto».
E poi diventò racconto pubblico, e ora si ripropone, attraverso la vita di uno per tutti, perché il ricordo del male non svanisca, mai, trattandosi per noi, come per il poeta-prigioniero Vittorio Sereni, "non di rappresaglia o rancore./ Ma d'inflessibile memoria»".
Mercoledì 24 aprile 2024, ore 20.30 Teatro Zandonai, regia Michele Comite. Voci narranti: Michele Comite, Alessandro Zanetti, Sceneggiatura e montaggio Sergio Baldo, Diego Leoni.