Aiuti alle coop, «adesso io denuncio»
L’imprenditore di Storo Pasi contesta la Provincia per 1 milione di Promocoop alla «Famiglia» del Chiese. Il comproprietario del centro commerciale di Cimego, che cercò invano di affittarlo al Sait, 'è furente. Va all’attacco: «Andrò alla Corte di giustizia europea e forse anche alla Corte dei conti, non è legittimo aiutare una cooperativa in crisi»
STORO - «Io ho chiesto spiegazioni a tutti i dirigenti della Provincia, dall'assessore Olivi in giù, ma adesso mi sono stufato. Sto preparando un ricorso alla Corte di giustizia europea, farò poi un esposto alla Corte dei Conti. Che si sperperi il denaro pubblico finanziando - praticamente a costo zero - investimenti assurdi delle Famiglie cooperative e mettendo in grave difficoltà i loro concorrenti (tre posti di lavoro sono già saltati, da noi), che invece possono ricorrere solo alle banche per prestiti a caro tasso di interesse, la considero una discriminazione bell'e buona. Un'ingiustizia».
Chi parla è Gianpaolo Pasi, imprenditore commerciale della valle del Chiese che dal 1° settembre 2011 ha ceduto la gestione del suo supermercato alla Dao. Ce l'ha con il milione di contributo Promocoop al maxi-investimento per il nuovo punto vendita della Famiglia coop Chiese, a Storo, che ha perso 370mila euro nel 2011 e ha appena messo in cassa integrazione 6 dipendenti su 50.
Pasi racconta che la sua società famigliare («Supermercato Bertini & Pasi»), erede di un piccolo negozio nato a Cimego con i suoi genitori, aveva offerto anche a Sait (prima che la Famiglia coop investisse nella nuova struttura), spazi adeguati nel centro commerciale di 4mila mq (2 licenze commerciali da 2mila) che ha inaugurato nel 2001, e che ospita, oltre al supermercato e all'Upim passati di mano al pianoterra, anche Eurospin, Brico e Pittarello al primo piano.
«In questa valle - prosegue Pasi - sono stati fatti investimenti che non hanno logica. Non c'è spazio per tutti, sono appena 30 km e 10mila abitanti. Abbiamo 5-600 mq di superficie residua da affittare, ma di questi tempi restano lì vuoti. È venuto anche il Poli a farci concorrenza, e pazienza. Ma che la Provincia aiuti gli uni e non gli altri, mettendo spalle al muro una piccola società familiare come la nostra, in una zona già commercialmente satura, è assurdo».
Il punto giuridico contestato da Pasi è la norma che esclude dagli aiuti del fondo partecipativo le aziende in crisi: come invece andrebbe considerata, a suo parere, la Famiglia del Chiese. «Per accedere al fondo partecipativo - ha stabilito la giunta provinciale - le imprese cooperative devono essere in equilibrio economico-finanziario e non devono trovarsi in situazione di crisi secondo il diritto comunitario; devono sussistere prospettive di redditività dell'intervento, ancorché differite nel tempo; la partecipazione non deve essere a condizioni meno vantaggiose rispetto al rimanente capitale di rischio; devono sussistere prospettive economico-finanziarie di restituzione della partecipazione al capitale sociale delle cooperative, le quali riconoscono al fondo una preferenza nel rimborso della partecipazione».
«Io farò ricorso alla Corte europea - commenta Pasi - perché hanno fatto una legge per intervenire a favore di un unico operatore commerciale, la cooperazione. Per i 510mila euro che ci mette Promocoop pazienza, ma i 490mila euro pubblici li contesto».
Né l'assessore provinciale al commercio Olivi, né l'assessore alla cooperazione Panizza, che l'ha ricevuto due volte, gli hanno dato risposte soddisfacenti. Pasi ha scritto anche al direttore Apiae Claudio Moser, a Paolo Ferrari dell'ufficio vigilanza enti cooperativi, a Roberto Dal Bosco, l'esperto nominato dalla giunta provinciale nella commissione di valutazione dei progetti, e al docente universitario Emanuele Cusa, che gli ha risposto: impresa «in difficoltà» significa che si trova nelle condizioni per l'apertura di una procedura concorsuale per insolvenza o comunque incapace di riprendersi con le proprie forze o con finanziamenti dai proprietari o «da altre fonti sul mercato».
È così messa male la Famcoop Chiese? Pasi constata che ci sono due pesi e due misure: «E l'Olivi ripete: viva la meritocrazia. Ma è questa la loro meritocrazia? È il frutto malato della nostra cosiddetta autonomia che mette in difficoltà un'azienda sana che opera seguendo le regole (e che è arrivata ad occupare fino a 27 persone) a vantaggio del sistema legato a doppio filo alla politica».