Bene lo stop ai grandi centri commerciali ma esercenti e sindacati chiedono di più
Lo stop a nuovi centri commerciali con superfici superiori ai 10 mila metri quadrati, deciso dalla giunta provinciale venerdì scorso, trova d'accordo sia i rappresentanti degli esercenti che i sindacati, che però al vicepresidente e assessore alle attività economiche, Alessandro Olivi, chiedono di più, un passo ulteriore per valorizzare il sistema del commercio trentino e chi ci lavora, ovvero una regolamenazione più restrittivo delle aperture domenicali e degli orari dei negozi.
«È una delibera importante - commenta Massimo Piffer , presidente dell'Associazione commercianti al dettaglio del Trentino, - che arriva a seguito di un percorso che ci vede coinvolti fin dal 2010, quando fu approvata la legge sul commercio. Si tiene conto dell'orografia e delle caratteristiche del nostro territorio e si punta a riqualificare l'esistente, bloccando grandi agglomerati, e a valorizzare i nuclei storici salvaguardando la dignità del lavoro e delle imprese locali. Le liberalizzazioni su orari e giorni di chiusura non hanno aumetato i consumi, li hanno solo spalmati su più giorni, per questo i centri commerciali non sono la risposta».
«Noi - sostiene Piffer - pensiano che si dovrebbe ragionare sul costo degli affitti per consentire a giovani intraprendenti e con idee nuove di aprire attività in città al di là delle grandi catene multinazionali». I sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil sono unanimi nel chiedere alla politica provinciale il coraggio di limitare non solo le dimensioni delle superfici di vendita ma anche gli orari e i giorni di apertura. «Bene la delibera che salvaguarda l'ambiente e le lobby locali del commercio, ma il nodo aperto per noi più importante - dichiara Roland Caramelle (Filcams Cgil) - è quello della regolamentazione delle chiusure festive e delle aperture domenicali».
Su questo tema l'assessore Olivi ha detto più volte di voler attendere la decisione della Corte costituzionale sulla legge friulana che ha posto effettivamente dei limiti alle aperture dei negozi. Ma Caramelle sollecita la giunta trentina a non rinviare ancora: «Il Friuli Venezia Giulia hanno agito e così il primo maggio in quella regione autonoma i negozi hanno tenuto chiuso e i lavoratori sono rimasti a casa. È una scelta politica: chiediamo di decidere». Sull'idea che dire no ai colossi commerciali voglia dire rinunciare anche a molti posti di lavoro, Caramelle dice: «Non vale una logica matematica in temini occupazionali perché a fronte di nuovi posti ce ne sono spesso altrettanti dei posti esistenti che si perdono».
Anche per Lamberto Avanzo (Fisascat-Cisl) la delibera di venerdì è «solo il primo passo». «È soddisfacente - sostiene Avanzo - cercare un equilibrio tra centri commerciali non troppo grandi e le attività nei centri storici ma per completare il percorso serve una regolamentazione degli orari e delle aperture dei negozi, magari decisa d'intesa con l'Alto Adige. Anche le associazioni di categoria, come Confcommercio e Confesercenti sono favorevoli, quindi noi ci aspettiamo dalla giunta che trovi una soluzione». «La delibera è positiva - aggiunge Walter Largher (Uiltucs) - perché così si blocca la proliferazione di grandi centri commerciali. Ma va completato il ragionamento su un sistema trentino del commercio, la giunta deve pensare anche ai lavoratori con nuove regole per gli esercizi esistenti sulle aperture domenicali e i festivi». Anche Largher non crede che l'arrivo di nuove catene della grande distribuzione sia positivo per l'occupazione. «Spesso - dice il sindacalista - le multinazionali aprono stando anche 3-4 anni senza guadagnare per fare piazza pulita della concorrenza, questo vuol dire che altri esercizi già presenti sul territorio chiudono. Se va bene il saldo è zero. Se apre un nuovo supermercato, infatti, porta via clienti e quindi fatturato agli altri, ma non moltiplica i consumi. Inoltre questi grandi gruppi non hanno attenzioni per i dipendenti ed è molto difficile riuscire ad incidere».