L'Europa a guardia della globalizzazione
Un Festival che guarda all’Europa. Che sogna un’Europa più forte. Perché c’è davvero bisogno della coesione massima tra gli Stati per regolare i “venti” della globalizzazione. E perché chiudersi nel nazionalismo non può essere la risposta giusta.
Il Festival dell’Economia, arrivato all’edizione numero 14, ieri ha aperto i battenti, con il suo titolo «Globalizzazione, nazionalismo e rappresentanza».
E lo ha fatto con una prima giornata già piena di contenuti. A partire dalle parole di Tito Boeri, il direttore scientifico del Festival che per la prima volta si è trovato a lavorare con un governo provinciale “targato” Lega. Spiega Boeri: «La globalizzazione ha portato enormi ricchezze, ma ha lasciato sul campo anche un numero enorme di “perdenti”, che vivono spesso al di fuori dei grandi centri. La crescita, invece, deve essere inclusiva». Boeri ha ricordato come il numero di relatori stranieri sia superiore alla media, già alta, delle edizioni precedenti. «Il Festival ha un compito e insieme una responsabilità molto importanti: affrontare un tema così delicato nella sua complessità, parlando alle persone impaurite dagli effetti della globalizzazione, con autorevolezza, ma anche in maniera comprensibile, alla portata di tutti».
Boeri, da europeista convinto, ha ricordato comunque che le istituzioni oggi sono alle prese con un deficit di democrazia. E che non possono dimenticare chi è ai margini del processo di formazione della ricchezza: «I governi devono pensare a compensare i “perdenti perenni”, ad esempio con il reddito di cittadinanza, per il quale servono molti stanziamenti. Ma bisogna evitare che passi il messaggio che fa credere a chi sta male che la colpa è di chi sta peggio di loro».
Durante la presentazione il sindaco di Trento Alessandro Andreatta, alla sua ultima edizione da sindaco (l’anno prossimo a maggio si voterà anche nel capoluogo) ha ricordato che in tanti anni il Festival ha ospitato figure «di autorevolezza riconosciuta e di provenienza diversissima, da Marchionne al primo ministro del Mozambico, da Stieglitz a Bauman, da Dahrendorf a Piketty, solo per ricordarne alcuni».
Il rettore Paolo Collini a sua volta ha ricordato come il Festival abbia sempre guardato ai giovani e al futuro, affrontando i grandi temi che la società ci pone, «proprio come la globalizzazione, da un lato fonte evidente di opportunità ma dall’altro anche una minaccia. Riflettere su come i fenomeni economici e spesso anche quelli tecnologici cambiano radicalmente l’organizzazione della società e il modo in cui noi vi partecipiamo è di estrema importanza».
Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, ha ripreso il tema delle ombre e delle luci della globalizzazione. «Le istituzioni internazionali non sono state in grado di arginare le esternalità negative, da quelle ambientali a quelle economico-sociali - ha detto - La stessa Ue ha basato il suo sviluppo su tre elementi: mercato unico, crescita della concorrenza e convergenza dei sistemi nazionali. Nei primi due ha avuto successo. L’Italia ad esempio oggi esporta il 48% di ciò che produce, quindi è interessata a esportare le sue merci ovunque, in un regime di libera concorrenza. Sulla convergenza, economica e del welfare, invece, l’Europa non ha funzionato, le diversità fra territori e stati membri sono oggi molto accentuate. In molti paesi europei si sono affermate ideologie e governi che sostengono la necessità di riportare in primo piano gli interessi nazionali. Il grande timore per il futuro però è quello del protezionismo, avviato dalla guerra dei dazi di Trump verso la Cina. L’Europa non deve avere un ruolo marginale in tutto questo».
Il presidente Maurizio Fugatti, infine, ha ricordato come «il Trentino sia orgoglioso del fatto che qui, ad una settimana dal voto europeo, si parli di temi come quello della globalizzazione, che tocca anche la distanza delle èlites rispetto al popolo. Riflettere su questo, ovvero su come rappresentare le istanze del popolo nel mondo globalizzato è fondamentale. La globalizzazione è arrivata troppo velocemente nel nostro sistema. Dalla caduta del Muro di Berlino a Maastricht, dall’ingresso della Cina nel Wto alla crisi del 2008, fino ad oggi, sono passati circa 30 anni. Il sistema sociale del nostro paese, così come di altri, ha conosciuto un’accelerazione fortissima. Non dobbiamo quindi stupirci della reazione della gente. Era stato detto che saremmo stati tutti più ricchi, che ad esempio avremmo speso molto di meno acquistando i prodotti più a buon mercato provenienti dall’estero. Poi ci siamo accorti che sì, i prodotti costavano meno, ma le nostre fabbriche avevano chiuso. Il Festival può servire anche a chiarire questa discrasia, fra le narrazioni iniziali e la realtà come l’abbiamo poi conosciuta».
L’importante - ha concluso Fugatti - è «che il confronto avvenga a 360 gradi e che si avvicini alla comprensione dei cittadini». Oggi il Festival poteva diventare la “vetrina” di Matteo Salvini - come anticipato qualche settimana fa - che però non potrà essere presente.