Cannabis light, caos normativo negozi e produttori trentini allarmati per il futuro
Con la sentenza della Corte di Cassazione dello scorso 30 maggio, a cui hanno fatto seguito gli annunci di un giro di vite da parte del ministro dell’Interno Matteo Salvini, anche i “Cannabis shop” del capoluogo iniziano a temere per il proprio futuro. Il subbuglio è dettato dall’indeterminatezza delle misure che verranno intraprese con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, avvenuta lo scorso luglio, e per la difficoltà nell’applicazione del principio stabilito dai giudici supremi, che prende in considerazione non tanto la percentuale di tetraidorcannabinolo (Thc) presente nel prodotto, quanto il suo “effetto drogante”. Per il momento, a quanto abbiamo potuto appurare, la situazione rimane in stallo, e in tutti i negozi specializzati di Trento è ancora possibile trovare inflorescenze e oli, collocati sui scaffali affianco ad altri generi comunemente ammessi dalle tabelle della legge del 2016, quali vestiti derivati dalle fibre di canapa, fertilizzanti e prodotti alimentari provenienti da filiere certificate.
«Al di là delle percentuali, il principio rimane quello della presenza o meno del principio drogante, ovvero il Thc» spiega Marco, coltivatore diretto e fornitore del punto vendita “Zeeghi hemp shop” di via San Marco, gestito dalla moglie Valentina, dove si coniugano i prodotti di tipografia e di arte grafica ai derivati della canapa. «Nell’incertezza del momento, il discrimine per noi rimane quindi l’effetto del prodotto, dato che quello consentito dalla legge non può in alcun modo dirsi drogante, come certificato da analisi di laboratorio specifiche - prosegue - Certo, la preoccupazione rimane anche perché, per poter avviare il punto vendita, abbiamo fatto un grosso investimento, che ha riguardato anche la trasformazione della nostra produzione agricola».
I primi esercizi commerciali per la vendita della cannabis light sono apparsi dopo la legge 242 del 2016, in cui si definivano alcuni derivati per cui era prevista la vendita, allo scopo di permettere di sostenere la produzione manifatturiera ed il recupero agricolo del territorio. In poco tempo, sulla base delle percentuali di Thc fissate dalla norma (inferiore allo 0,6%), sono apparsi negozi specializzati in tutta Italia, prima come franchising, poi come punti vendita di aziende interessate alla produzione in proprio, auspicando anche nel possibile aumento della richiesta di inflorescenze per uso farmaceutico. Nel frattempo, la clientela si è - a quanto emerso - stabilizzata su persone con più di 30 anni. «Se all’inizio erano soprattutto i ragazzi che entravano a chiedere informazioni, ora la clientela è formata soprattutto da giovani adulti. Anche le persone della zona hanno iniziato a capire che non si tratta di prodotti illegali, facendo così venire meno la diffusa preoccupazione iniziale», ha confermato l’esercente.
Anche negli altri due esercizi della città - il “Cannabis store Amsterdam” della Prima Androna e il “Chacruna” di corso 3 Novembre - inflorescenze e derivati rimangono in vendita. Malgrado poi i responsabili tengano a precisare l’origine controllata, certificata e l’assenza di principio attivo delle varietà presenti sui banchi, non nascondono di informarsi costantemente sul contesto normativo, prestando particolare attenzione ai possibili scenari futuri.