Virus, manodopera nei campi ora è allarme rosso: lavoratori dall'estero bloccati
«Una boccata di ossigeno per le 24 mila aziende del settore in Italia, che con 2,5 miliardi di fatturato rappresentano il 5% della produzione agricola nazionale» dice Paolo Calovi, presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori del Trentino. La “boccata di ossigeno” è il chiarimento arrivato l’altra sera dal Governo, che autorizza «la vendita al dettaglio di semi, piante e fiori ornamentali, piante in vaso, fertilizzanti e ammendanti e di altri prodotti simili» facendola rientrare nelle attività di produzione, trasporto, e commercializzazione di prodotti agricoli ammesse dal dal Decreto del 22 marzo per l’emergenza Coronavirus. Attenzione, non significa che la vendite di viole, orchidee e piantine di insalata per l’orto sarà fatta nel punto vendita, ma che le aziende potranno sia rifornire i supermercati, sia effettuare, su richiesta, la consegna a domicilio.
«Il Trentino» spiega Calovi «nel florovivaismo è al quarto posto, dopo Liguria, Toscana e Campania. La situazione è diventata pesantissima per le nostre aziende. Chiusi i punti vendita, ferme le attività religiose e civili. Praticamente, un mercato bloccato nel periodo, tra marzo e giugno, in cui le aziende fanno il 70% del loro fatturato annuale. La stima è che tra il 50% e il 70% della merce, piante e fiori, sia da buttare. Come Cia si siamo battuti per ottenere la possibilità della vendita nei negozi. Adesso» aggiunge Calovi «speriamo che vengano riaperti i cantieri del verde, pubblici e privati. Anche perché serve un po’ di colore, di speranza, di vita, in questa situazione». In Trentino, il settore registra la presenza di 110 aziende, un migliaio di addetti e tra i 45 e i 50 milioni di fatturato».
In generale, però, la situazione dell’intero comparto agricolo è da allarme rosso sul fronte della manodopera. Parte la stagione dei piccoli frutti, fragole in primis. Si attrezzano le serre, si mettono a dimora le piantine. E serve manodopera, che non c’è. «È soprattutto manodopera straniera» dice Massimo Tomasi, il direttore di Cia del Trentino «direi che su cento addetti, 90 sono stranieri». Ma i flussi sono bloccati. «Ci si arrangia alla meno peggio, lo stesso problema ci sarà per la imminente raccolta dell’asparago, dove operano soprattutto lavoratori rumeni» aggiunge Calovi «ma in generale è l’intero comparto a soffrire. L’agricoltura trentina ha bisogno di almeno 12 mila lavoratori stranieri, non solo per il periodo del raccolto».
I sindacati agricoli sollecitano la reintroduzione dei voucher, in modo da tamponare la falla di manodopera straniera con il ricorso a studenti, pensionati, casalinghe. «Chiediamo pure che ci sia la possibilità di fare ricorso a disoccupati, a persone in cassa integrazione, a chi usufruisce del reddito di cittadinanza» dice Calovi «pur nella consapevolezza che non ci si improvvisa contadini. Per la raccolta si impara presto, per le altre attività è richiesta più competenza ed esperienza. E anche questo è un problema. Per le operazioni sul verde, per gli interventi di scacchiatura (la eliminazione dei getti infruttiferi della vite, ndr) e il dirado, servono addetti preparati».
Quello del blocco dei movimenti delle persone sta diventando un problema gigantesco per il comparto agroalimentare. Ovviamente, non solo in Trentino e non solo in Italia. Calovi esemplica raccontando l’esperienza della sua azienda. «Nei prossimi giorni completeremo le operazioni di legatura in vigneto. Un mio operaio slovacco vorrebbe rientrare al suo paese per Pasqua. Ma è un problema enorme. Non può arrivarci via Rosenheim, perché la Germania non lascia passare. Potrebbe arrivarci da Kufstein, via Austria, ma dall’ambasciata gli dicono che al Brennero passano le merci e non le persone. Se riesce ad arrivare a casa, dovrebbe farsi la quarantena. Ma, soprattutto, poi non sa se potrà rientrare per maggio, per i lavori di scacchiatura. Qui avrebbe da fare fino a luglio, tre mesi. Non sa se potrà ritornare, né se, una volta rientrato in Trentino, dovrà essere sottoposto a quarantena».
Insomma, massima incertezza. «È un dramma a livello globale, non solo europeo» precisa Massimo Tomasi «C’è un problema di flussi intra-europeo, perché vi sono Paesi aperti e altri chiusi. Ed è un problema ancora più grosso per chi arriva da Paesi extra Ue, come Serbia, Albania, Marocco, che ha bloccato gli spostamenti». Ma per garantire la tenuta delle filiere e del sistema agroalimentare, i flussi di manodopera sono indispensabili. «A livello europeo» dice il direttore della Cia «si sta ragionando in queste ore sulla possibilità di creare dei “corridoi verdi” per garantire i flussi, in ingresso e in uscita, dei lavoratori agricoli: sono necessari. Il problema, per altro, con il Coronavirus si pone anche tra una regione e l’altra. Ad esempio, in Basilicata sono in piena raccolta dei piccoli frutti, ma non possono fare ricorso ai lavoratori delle regioni limitrofe, Puglia e Calabria».