Ristoranti, tornano i clienti «Pochi, ma almeno si lavora Non è qui che ci si contagia»
Voglia di lavorare da parte dei ristoratori, frustrati da un periodo natalizio in cui sono stato costretti pressoché all'inattività (salvo un residuale servizio d'asporto e a domicilio) e desiderio di tornare a mangiare fuori da parte dei trentini, anche in un giovedì di inizio gennaio.Lunedì mattina baristi e ristoratori manifesteranno la loro frustrazione con un'iniziativa in città.
Due variabili che si sono incrociate favorevolmente per chi ci ha creduto e ha deciso di riaprire i battenti. Già alle 7.30 del mattino i camerieri slegavano le sedie impilate fuori dai locali, per ripristinare i plateatici dei bar. Poi, alle 12, i primi clienti sono tornati nei ristoranti.
Alle 13 moderata soddisfazione al Forst di via Oss Mazzurana. Gaspare, responsabile di sala, commentava disincantato: «I tavoli al piano terra sono tutti pieni e anche qualche tavolo al primo piano. Non sono lavoratori, ma famiglie che hanno voluto concedersi un pranzo tipico. Per questo periodo è già molto».
All'ingresso, quattro giovani con diverse borse da shopping, reduci da acquisti in un negozio di articoli sportivi: «Siamo quattro amici della val Rendena spiega uno di loro e due di noi sono maestri di sci, senza lavoro in questo momento. Siamo venuti a Trento, visto che oggi si poteva, per i saldi e un pranzo insieme».
In piazza Duomo ha riaperto anche il «Te ke voi», cucina toscana. Il titolare, Mattia Secci , insieme alla moglie, Erika Manca , la vede così: «Chi fa impresa vuole lavorare. È una questione psicologica. Solo vedere anche alcuni tavoli riempirsi, ci ridà fiducia. C'è voglia di normalità: noi abbiamo fatto la spesa per questi due giorni di riapertura consentita, e poi vedremo. Certo, dieci mesi fa avevamo nove dipendenti e ora uno. Con l'asporto non campi. Io sono tornato in cucina e mia moglie dietro il banco, mentre prima solo amministravamo l'attività. Ci sono venuti incontro per l'affitto e anche i fornitori sono disposti ad aspettare un po' di più per i pagamenti. Così ci aiutiamo tutti».
«Solo con l'asporto rischiavo di perdere la mano » scherza con amara ironia il pizzaiolo del Ristorante pizzeria Duomo in via Verdi. I titolari, Gianmario e Gloria Bottamedi , guardano la sala: «Quattro tavoli occupati alle 12.30. Meglio di niente. Abbiamo riaperto nella speranza di poter lavorare non a singhiozzo. Il giovedì, con il mercato, non lavoriamo mai tanto. Ci servirebbe poter aprire nei week-end. Vorremmo gridare con forza che i dati sui contagi hanno dimostrato che non è certo colpa dei ristoranti, rimasti chiusi per venti giorni, adesso. Facciamo come l'Alto Adige: riapriamo la sera, su prenotazione, anche con meno tavoli. Ma fateci lavorare!»
Un dipendente amministrativo dell'università si è concesso una pizza, con il buono pasto: «È stata una piccola gioia tornare al ristorante a pranzo». Roberta , della famiglia Antoniolli, che gestisce il ristorante al Vo', alle 14 ha ancora gente nel locale: «È andata meglio del previsto. Sono tornati i lavoratori. Certo, me li sono andata a cercare con comunicazioni mirate sui social».
Buona frequentazione anche alla Ca' dei Gobj in via Simonino: il menù è stato ridotto a sei opzioni per i primi e altrettante per i secondi e niente pizza. Ma le tre sale principali a ora di pranzo erano quasi a piena capienza.
Chiuso il Pedavena: riapre lunedì 11 («Salvo imprevisti» recita il cartello). La Grotta a fine gennaio.
Sbarrata la Cantinota e il Due Mori, che con ironia scrive sulla vetrina: «Se il governo ci lascia lavorare, riapriamo martedì 22. Speren!».
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