Pressing contro la riduzione di "Opzione donna", il governo concede almeno un ritocchino
Il primo esecutivo a guida femminile intende restringere la possibilità di uscita anticipata limitandola alle persone più svantaggiate e con un'innalzamento dell'età a sessant'anni, ora sembra disposto a rinunciare solo alla condizione legata al numero di figli
ROMA. Per Opzione donna si sta lavorando all'eliminazione della condizionalità dei figli dalla misura contenuta in manovra.
Lo si apprende da fonti vicine al ministero del Lavoro. La modifica potrebbe arrivare con un emendamento del governo.
La misura contenuta nella legge di bilancio prevede la proroga per il 2023 della misura, che però viene limitata a tre categorie di donne (caregiver, con invalidità almeno al 74% e licenziate o dipendenti da aziende in crisi) con un innalzamento dell'età per uscire anticipatamente dal lavoro a 60 anni.
Il Pd annuncia un emendamento per confermare, invece, il rifinanziamento di Opzione donna nella versione in vigore finora.
Sistema attualmente in vigore che prevede la pensione anticipata con almeno 35 anni di contributi a a 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome).
Secondo la bozza del governo Meloni, l'anticipo pensionistico resta ma selezionando le beneficiarie a tre categorie di donne: caregiver, cioè che assistono coniuge o parente con handicap; con invalidità civile superiore o uguale al 74%; licenziate o dipendenti di imprese con aperto un tavolo di crisi.
A questo si aggiunge l'innalzamento dell'età d'uscita a 60 anni, che viene legata al numero dei figli: può essere ridotta di un anno per ogni figlio, fino al massimo di due (solo per le licenziate o dipendenti da aziende in crisi la riduzione a 58 anni è a prescindere dai figli).
Un doppio paletto molto alto che limita così la platea delle beneficiarie a 2.900 uscite nel 2023 per una spesa di 20,8 milioni (contro i 110 dell'attuale versione).