Cooperazione / L’intervista

L’economista Geremia Gios è critico: «No a lotte striscianti nel mondo cooperativo, ora parola ai soci»

Il gelo tra Federcoop e Cassa Centrale, sul futuro commenta: «Il movimento deve decidere cosa vuole essere da grande, servono assemblee fondative, va tutelato il risparmio e recuperata la mutualità del credito»

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di Chiara Zomer

TRENTO. Una guerra strisciante dentro il movimento sarebbe deleteria. Meglio chiedere ai soci dove vogliono che vada il credito cooperativo trentino. Questo pensa Geremia Gios, voce che da sempre è controcorrente del mondo cooperativo. Lo è anche adesso che le contraddizioni sono deflagrate, dopo l'assemblea di sabato e le durissime parole del presidente Roberto Simoni.

Presidente Geremia Gios, cos'ha pensato vedendo quel che succede tra una parte e l'altra di via Segantini?
«Che era una cosa del tutto prevedibile».

È una divergenza che parte da lontano, sotto traccia, come un fiume carsico.
«Il tema scoppiato ieri è partito, in realtà, con la riforma del credito cooperativo. Allora c'erano due possibilità: o seguire la strada scelta dall'Alto Adige, che ha difeso le sue Reiffeisen, o puntare sulla costituzione di un gruppo nazionale. Si è scelta la seconda possibilità. Il resto è conseguente».

Sta dicendo che tirare fuori la questione ora è tardi?
«È inutile. Bisognava lamentarsi prima, vedendo distante cosa sarebbe accaduto, perché era evidente».

Così evidente? Perché?
«Mettiamola così, faccio un esempio. C'è uno della Vallarsa che aveva un campo dove seminava patate. Aveva delle bellissime patate. Poi un giorno ha deciso di metterci anche degli abeti. E per un po' è andata bene: aveva gli abeti, ma anche un po' di patate. Ma sempre meno. Poi ha scoperto che le patate non crescevano più, perché gli abeti si mangiavano tutto il nutrimento. Ecco, il gruppo CCB rappresenta gli abeti».

Ma all'epoca per fare una scelta analoga a quella dell'Alto Adige si dovevano chiudere le filiali fuori regione, e tante casse avevano interessi lì.
«Non è così. Bisognava cambiare la struttura di Cassa Centrale, non avrebbe più potuto avere associati da fuori Trentino. Ma le Rurali del Trentino avrebbero potuto mantenere le loro filiali. Solo, si è scelto all'epoca un orientamento volto a potenziare Cassa Centrale. Dopodiché, ora decidere cosa fare dovrebbero essere i soci, in una sorta di assemblea costituente. Dovrebbero essere loro a decidere se proseguire sulla strada di creare banche locali o di tornare - ma lo ritengo difficile - al discorso delle Casse Rurali. Dovrebbero essere loro perché il patrimonio è stato accumulato dai soci. E andando sulla strada delle banche, quel patrimonio verrà allontanato sempre di più dal territorio. Magari non oggi, ma prima o poi. È solo questione di tempo».

Perché?
«Perché le banche locali hanno bisogno di dimensioni. Pensiamo alla Cassa di risparmio di Trento e Rovereto di un tempo, ha chiuso perché era troppo piccola».

Il problema che sembrano avere le Rurali, ogni anno una fusione. Ma quando i soci sono nell'ordine delle migliaia si può ancora parlare di cooperazione?
«Il punto non è il numero, è il rapporto che vuoi tenere, il ruolo che vuoi dare al socio. Io alla Cassa Rurale di Rovereto facevo 8, 10 pre assemblee ogni anno, prima dell'assemblea. Per mantenere il legame con i soci. Se non lo fai, significa che i soci non servono. Ormai l'accento è stato posto invece che sulle necessità dei soci, sulle esigenze della struttura».

A discapito delle esigenze dei soci?
«Beh, inevitabilmente, vengono periodi in cui gli interessi divergono. Un esempio? Ad un certo punto cresci e diventi di dimensioni tali per cui rientri nelle banche significative per la Comunità Europea. Significa che per dare i prestiti devi seguire certe regole e le famiglie e le piccole imprese non sono in grado di rispondere agli standard richiesti».

E quindi tu non sei più il punto di riferimento del territorio per i prestiti.
«No. O meglio, puoi esserlo, ma per una quota di clienti e utenti che non sono più quelli tuoi tradizionali. Le Rurali sono nate per le famiglie e i piccoli: credito al consumo e piccole imprese. Così è nata la cooperazione con don Guetti. Ora questi settori sono del tutto scoperti».

Tornando al j'accuse del presidente Simoni e alle tensioni con il presidente Fracalossi. Come se ne esce?
«Io so come secondo me si dovrebbe fare».

E cioè?
«Il movimento del credito cooperativo trentino dovrebbe decidere una volta per tutte cosa vuole diventare da grande. Si devono chiamare i soci, assemblee in cui sia Simoni che Fracalossi si dovrebbero presentare dimissionari. E i soci dovrebbero decidere quale tesi sposare, se uscire da CCB e creare un fondo di garanzia come in Alto Adige o se restare dentro, sapendo dove si va».

Ma non siamo un po' fuori tempo massimo per il fondo di garanzia? È ancora giuridicamente possibile?
«Penso di sì, il problema comunque è solo di volontà politica. E comunque ci sono strade alternative per recuperare la mutualità del credito».

Per esempio?
«Quando l'ho fatto lo dico».

Pensa alle fondazioni?
«No».

Lei propone una sorta di fase costituente con i soci che si esprimono, per uscire dall'impasse. Ma è realistico immaginare che accadrà?
«No».

E quindi?
«E quindi continuerà una guerra strisciante. Ma che non aiuta il movimento, è controproducente. Per evitarlo, meglio sarebbe un chiarimento di fondo e poi ognuno si adegua».

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