Agricoltura / Lo scontro

La riduzione dei pesticidi voluta dalla Ue, Dalpiaz (Apot): «No alle imposizioni, prima la sostenibilità delle aziende»

Il numero uno dell'Associazione produttori ortofrutticoli trentini contro il Green Deal europeo che riguarda sia i fitofarmaci sia la conversione al biologico: «Se si taglia il 50 per cento delle sostanze utilizzate, dimenticando che ne sono già state tolte 800, si mina definitivamente la possibilità di fare produzione. Il biologico? È in crisi, necessita di più lavoro e dà meno prodotto»

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di Daniele Battistel

TRENTO. Sul suo calendario sono cerchiati in rosso tre giorni: il 2, 3 e 4 agosto si terrà a Trento Prognosfruit, il convegno internazionale che viene organizzato ogni anno in un Paese diverso durante il quale vengono presentate le prime stime sulla produzione stagionale di mele e pere. Per Alessandro Dalpiaz, da vent'anni circa alla guida di Apot, sarà l'ultima grande fatica da direttore dell'Associazione produttori ortofrutticoli trentini.

«Accoglieremo a Trento tra le 250 e le 300 persone del settore, provenienti da una ventina di Paesi».

Dottor Dalpiaz, quali i temi al centro dell'attenzione di questi tre giorni?

«Oltre ai primi ragionamenti sui livelli di produzione della stagione che si apre, sul tavolo ci saranno temi d'attualità: biologico, brevetti varietali e trend dei consumi. Inoltre ci sarà un confronto con esponenti del mondo delle grandi catene commerciali, da Coop Italia alla tedesca Rewe, per ragionare su come recuperare un rapporto positivo con il settore del retail».

Con quale obiettivo?

«Per quanto riguarda il confronto con la grande distribuzione l'obiettivo è quello di superare la logica delle lamentele e trovare invece una via per dare la giusta valorizzazione al nostro prodotto».

In effetti fa specie pensare che le mele si comprano a 50 centesimi al chilo dal contadino e al supermercato costano 1 euro e 50.

«Io ho la mia convinzione personale, ovvero che la soluzione non si trova contrapponendo i due prezzi. Credo che se il contadino riceve 1 è corretto che il prezzo allo scaffale sia 3, considerando le spese di packaging, trasporto, conservazione e un po' di deperimento di prodotto. A noi, forse, sfugge il valore del commercio e forse anche il fatto che senza l'organizzazione che sta dietro al mondo della mela ci troveremo nella situazione di Pachino: pomodorini pagati 10 centesimi al chilo sul campo e rivenduti a 1 euro e 50. Apot, Vog, Marlene tengono in piedi un sistema di 13mila produttori tra Trento e Bolzano, con circa 5mila dipendenti delle cooperative, oltre 35mila stagionali e un valore della produzione di circa un miliardo di euro. Più l'indotto: si è calcolato che a fronte di 100 euro generati dal sistema, altri 60-65 arrivano dall'indotto. Senza un'organizzazione di produttori non ci sarebbe tutto questo valore per il territorio: quando noi parliamo con la grande distribuzione abbiamo un peso maggiore a vantaggio dei produttori, ma allo stesso tempo possiamo indirizzare gli agricoltori verso una matrice ambientale più spinta. Sa qual è la mia più grande soddisfazione da quando sono in Apot?»

Dica.

«Abbiamo cambiato la mentalità dei produttori. Li abbiamo portati a ragionare su temi quali la sicurezza sul lavoro, l'innovazione, il rapporto equilibrato con l'ambiente, il contenimento dell'uso di fitofarmaci...»

Voi vi opponete piuttosto duramente al Green Deal imposto dalla Commissione europea per la transizione verde e l'ambiente.

«Perché è nato da una base ideologica molto forte, senza confronto con il sistema produttivo e le regole del mercato. Noi critichiamo il regolamento sull'uso dei fitofarmaci: se si taglia il 50 per cento delle sostanze utilizzate, dimenticando che negli ultimi 15 anni sono già state tolte 800 delle 1.200 molecole, si mina definitivamente la possibilità di fare produzione. Per questo noi chiediamo all'Europa di sedersi ad un tavolo e ragionare assieme: piuttosto di dare obiettivi così stringenti, vediamo di scegliere una strada condivisa e intanto facciamo ricerca per trovare alternative chimiche, tecnologiche e di miglioramento genetico per tagliare l'uso dei fitofarmaci. La Commissione europea deve avere rispetto per il futuro delle aziende di produzione, perché se le aziende chiudono salta il meccanismo di protezione e cura del territorio».

Oggi il movimento del biologico sembra un po' in crisi.

«È così. La coltivazione biologica necessita di più lavoro e dà meno prodotto. Negli ultimi anni è aumentata più l'offerta che non la domanda e ora i produttori iniziano a tornare indietro. Anche qui l'Europa dovrebbe interrogarsi: inutile imporre il 25 per cento di superficie coltivata biologica se poi non si considera la richiesta del mercato e la sostenibilità delle imprese».

Ha già raccontato la maggiore soddisfazione del suo lavoro in Apot. C'è invece qualche rammarico?

«Sarebbe stato bello fare passi ulteriori verso gli obiettivi di cui parlavo prima, ma l'importante è che si sia cambiata la mentalità di chi lavora nei campi».

Sft rientrerà nel grembo di Apot con Melinda e La Trentina?

«Lavoriamo in un clima sereno per condurre questa realtà nel contesto Apot. Il passo successivo sarà armonizzare le necessità di Sft con quelle di La Trentina nell'auspico di creare un unico polo per ciò che non è val di Non».

Come sta andando la stagione commerciale?

«Dopo un inizio difficile direi che si chiuderà un'annata ragionevolmente soddisfacente».

Prospettive per la prossima?

«Le diremo a Prognosfruit, ma le prime impressioni sono di una campagna equilibrata».

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