Superbonus, anche in Trentino valanghe di soldi per un 6 per cento di case ristrutturate
L’analisi dei dati: pochi edifici ne hanno beneficiato, a spese di tutti, ed in gran parte erano di proprietari benestanti. Basso (Ance): «Ma ha generato Pil»
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TRENTO. Poco più di 11 mila asseverazioni depositate a fronte di 211 mila edifici residenziali (5,4%), con una spesa totale a carico dello Stato di 3 miliardi e 321 milioni, ovvero un importo medio a intervento di 293 mila euro. Sono questi i dati che riguardano il Trentino Alto Adige del Superbonus 110%.
Nel report della Cgia di Mestre non c'è una divisione tra province, ma il totale non va equamente diviso, con il Trentino che ha certamente fatto di pù: il 5,4% è quindi verosimilmente una media tra un oltre 6,5% del Trentino e un circa 4% dell'Alto Adige. «Sì, la fetta maggiore di quei numeri è di marca trentina - spiega il presidente dell'Ance Andrea Basso -, anche perché in Alto Adige la riqualificazione la si faceva già, a prescindere dal 110. Anche in Trentino, ma il bonus ha sicuramente accelerato tutto».
Tornando ai numeri, l'incidenza percentuale di interventi rispetto al numero di edifici è tra le più alte a livello nazionale: la media italiana, infatti, si ferma al 4,1%, mentre la nostra regioni è esattamente in media con il nord est (5,4%).
A livello regionale è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al 110 per cento: con 59.652 asseverazioni depositate, l'incidenza percentuale di queste ultime sul numero degli edifici residenziali esistenti è stata pari al 5,6%.
A seguire ci sono appunto il Trentino Alto Adige e l'Emilia Romagna - affiancate con un'incidenza del 5,4% - e davanti a Lombardia e la Toscana (5,2%).
Per contro, a "snobbare" l'incentivo sono state le regioni del Mezzogiorno: Molise e Puglia, ad esempio, hanno interessato solo il 2,9% dei propri edifici residenziali, la Calabria il 2,6% e la Sicilia solo il 2,2%.
Tornando alle cifre, su 123 miliardi spesi dallo Stato il Trentino Alto Adige ne ha presi il 2,5%, ovvero 3 miliardi e 321 milioni. Questi soldi sono serviti in regione per "sistemare" 11.342 edifici, con una spesa media per ognuno di 292.784 euro.
Si tratta del sesto totale più alto a livello nazionale: rispetto a un onore medio a carico dello Stato di 247. 819 euro, in testa troviamo la Valle d'Aosta con 401.040 euro per immobile, seguita dalla Basilicata con 299.963 euro, dalla Liguria con 298.314 euro, dalla Lombardia con 296.107 euro e dalla Campania, che precede il Trentino Alto Adige, con 294. 679 euro. Chiudono la graduatoria il Veneto con un costo medio per intervento di 194.913 euro per edificio, la Sardegna con 187.440 e, infine, la Toscana con 182.919 euro.
«I risultati per il Trentino sono davvero notevoli considerato che parliamo di un territorio molto piccolo», aggiunge ancora Basso. Come accennato i dati emergono da una ricerca della Cgia di Mestre. Che sottolinea: «L'Ufficio studi della Cgia stima che il cosiddetto Superbonus abbia interessato solo il 4 per cento del totale degli immobili ad uso abitativo presenti nel Paese. In un momento così delicato, dove con la prossima legge di bilancio verranno chiesti sacrifici a tutti, aver speso oltre 6 punti di Pil per efficientare uno sparuto numero di abitazioni, fa arrabbiare chiunque abbia un minimo di buon senso. In linea generale, con il cosiddetto 110 per cento lo Stato ha speso una cifra spaventosa, migliorando l'efficienza energetica di una quota infinitesima di edifici presenti nel Paese. Ma, stando alle prime indiscrezioni, sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili con una buona/elevata capacità di reddito, anziché rivolgersi in via prioritaria alle famiglie meno abbienti che, in linea di massima, presentano una probabilità maggiore di risiedere in abitazioni in cattivo stato di conservazione e con un livello di efficienza energetica molto basso».
Ancora: «Con 123 miliardi avremmo 1,2 milioni di alloggi pubblici nuovi: 400mila in più di quanti ne disponiamo adesso. Se invece di ricorrere al Superbonus per incentivare quasi esclusivamente gli interventi di edilizia privata ci fossimo avvalsi di questa misura per demolire e ricostruire solo gli edifici residenziali pubblici, le conseguenze positive richiamate dai "sostenitori" del 110% (gettito Irpef, Ires, Iva, più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni di inquinanti) sarebbero state praticamente le stesse. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso avremmo compiuto un'azione di giustizia sociale che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso».
Da una visione all'altra: «Questi numeri dicono che i lavori eseguiti hanno generato un Pil mostruoso», spiega Andrea Basso. «Ricordiamoci che dopo il Covid tutto era fermo e tutti erano disperati, anche nel turismo, nell'alberghiero, nel commercio. Il bonus ha aiutato a far ripartire tutto. Poteva essere gestito diversamente rispetto ai costi per lo Stato? Sicuramente sì. Alcuni metodi non erano consoni, il gratis non deve esistere, ma vorrei sottolineare che per il futuro l'impegno dello Stato non deve essere di cancellare tutto, ma di portare avanti il bonus, magari con percentuali diverse. Perché non è stato un buco. Alcuni meccanismi, come le imprese nate e morte col 110, non sono funzionate, ma l'idea dovrà proseguire. Ci sono accordi, scadenze e leggi europee, la riqualificazione non va cancellata ma dovrà aprirsi a meccanismi diversi. E i controlli saranno fondamentali: chi è iscritto ad Ance lo sa bene, perché deve rispettare notevoli controlli».